L’ultima frontiera per moda e lusso è l’India che, con i suoi 1,5 miliardi di abitanti è il Paese più popoloso del mondo, ma anche quello – forse – più in balia di profonde contraddizioni. Nonostante un approccio ancora conservatore al consumo, i volumi che potrebbe garantire sono, però, talmente allettanti che le griffe stanno pianificando differenti modalità di approccio al suo mercato. A cominciare da Dior e Prada
di Domenico Casoria
Da quando la Cina ha smesso di comprare beni di lusso, moda e lusso hanno deciso di puntare sul mercato più prossimo: l’India. Con i suoi 1,5 miliardi di abitanti è il Paese più popoloso del mondo ed è per questo che tutti vogliono metterci piede. Da Dior che ha portato la sua autunno-inverno 2023 a Mumbai, fino a Prada, che ha da poco chiuso un accordo con Snapchat per personalizzare due avatar della famosa app di messaggistica multimediale di cui l’India è il primo mercato con 200 milioni di utenti attivi al mese.
La stessa idea di lusso?
Il mercato indiano è sicuramente appetibile (al momento è la quinta economia al mondo), ma l’andamento demografico sta cambiando in modo significativo, con la classe media in forte ascesa che dovrebbe passare dal 29% della popolazione attuale al 44% entro il 2030. Tuttavia, i marchi del lusso hanno una sfida ardua da affrontare. I consumatori indiani tendono ancora al conservatorismo quando si parla di beni di lusso, preferendo orologi e gioielli rispetto a beni come borse e accessori che non sono considerati acquisti sicuri. All’idea di lusso si accompagna anche una differenza di stile in quel segmento (aspirazionale) della popolazione: loghi ridotti al minimo, design marcato e colori vividi.
Come ci prova Dior
Va da sé che l’approdo dei marchi di lusso in India è ancora sperimentale. Nel 2023 per esempio Maria Grazia Chiuri, direttrice creativa della divisione femminile di Dior, ha presentato la collezione autunno-inverno a Mumbai. Non era la prima volta che il brand omaggiava la nazione asiatica. Nel 1996 infatti, l’allora direttore creativo Gianfranco Ferrè diede vita a Passione Indiana, per la collezione d’alta moda. Anche Chiuri si è ispirata ai codici indiani, puntando su sete colorate e cappotti da sera dritti che traevano ispirazione dal sari, l’abito tradizionale, realizzati insieme alle ricamatrici della Chanakya School Of Craft di Mumbai. Qualche anno fa, invece, era toccato a Louis Vuitton con una esclusiva collezione di scarpe nel colore Rani Pink, simbolo di regalità e decorate da piccole pietre preziose.
Come ci gioca Prada
La fetta di popolazione indiana più consistente è quella della Gen Z che, come con l’idea di lusso, ha un approccio diverso ai social. Prada e Miu Miu, per esempio, hanno collaborato con Snapchat per sviluppare un nuovo strumento. Agli snapchatter, infatti, sarà consentito l’accesso a una selezione di look dei due marchi per personalizzare gli avatar Bitmoji. Al costo di 50 dollari gli utenti potranno accaparrarsi un outfit di lusso.
Il punto debole
C’è, però, un’insidia nel rapporto (ancora debole) tra i marchi di moda e l’India. Tutti i progetti partono, infatti, da un punto di vista eurocentrico o, al massimo, occidentale, che tiene fuori – nella fase creativa – proprio la prospettiva indiana. Questo aumenta la percezione di veridicità, che soprattutto nei giovani è oggi un aspetto fondamentale per costruire una relazione che non si basi solo sul fine commerciale. Il rischio, ancora una volta, è che quella verso l’India sembri solo una conquista cieca. O una bandierina da piazzare.
Leggi anche: