Il portale specializzato in second hand di lusso entra in una nuova fase della sua guerra aperta al fast fashion. Come lui, sono molte altre le iniziative che invitano al boicottaggio e cercano di educare i consumatori a comportamenti di acquisto consapevoli e (più) green. Facciamo il punto della situazione
di Massimiliano Viti
I marketplace specializzati in accessori moda usati hanno individuato il loro nemico numero uno: il fast fashion. E stanno cercando di combatterlo. Con la sua ultima iniziativa, Vestiaire Collective la affronta faccia a faccia, utilizzando le sue stesse armi: il marketing aggressivo e gli influencer. “Stiamo facendo un ulteriore passo avanti nella mentalità e nella psicologia dei clienti, prima che facciano acquisti”, ha dichiarato in un’intervista Fanny Moizant, cofondatrice e CEO di Vestiaire Collective. Ecco in che modo.
Guerra aperta al fast fashion
Vestiaire Collective ha ingaggiato 5 influencer noti per i loro video “haul“. In altre parole, brevi reel postati sui social e che – come si legge online – “hanno per oggetto la spesa fatta in qualsiasi tipologia di negozio. Ciò che caratterizza gli haul è quanto si riesce a ottenere a fronte del denaro speso”. Uno dei reel più recenti di Vestiaire Collective, postato sul suo profilo Instagram, mostra persone sedute che sfogliano il finto quotidiano The Collective (nelle foto) con pagine in cui campeggiano, a caratteri giganti, frasi contro il fast fashion e i suoi marchi più importanti. Il reel ha ottenuto migliaia di like e interazioni. Questa campagna durerà sei mesi.
Educare i follower
L’obiettivo è quello di educare i circa 2 milioni di follower dei 5 influencer, sugli effetti dannosi del fast fashion e sui valori sostenibili che il second hand promuove. Il programma comprende masterclass con esperti per esplorare l’approccio al consumo da differenti angolazioni. Tra questi ci sono l’autrice di The Psychology of Fashion, Carolyn Mair, e Aja Barber, che ha dato alle stampe il libro dal titolo Consumed. L’ultima fase del programma vedrà la piattaforma di second hand accompagnare gli influencer a visitare fisicamente una discarica di rifiuti di abbigliamento. Dai risultati di campagna, Vestiaire Collective spera di lanciare un altro programma su larga scala nel 2025 con gli stessi obiettivi. Parallelamente, l’azienda sta facendo pressione sul Senato francese affinché riprenda e rafforzi il disegno di legge “anti-fast fashion” approvato dall’assemblea all’inizio di quest’anno.
Un settore con la capacità di cambiare il mondo
Fondata nel 2009 da Fanny Moizant e Sophie Hersan, Vestiaire Collective è diventato un punto di riferimento per gli amanti della moda a caccia di prodotti pre-loved griffati. Con oltre 12 milioni di articoli venduti, la piattaforma sostiene di aver evitato di immettere in atmosfera circa 300.000 tonnellate di CO2. “La moda di seconda mano – dice Moizant – non è solo una tendenza passeggera. È un settore in crescita con la capacità di cambiare il mondo” (fonte Hub Style).
Terza fase
Quest’ultima campagna educativa rappresenta la terza fase della guerra aperta contro il fast fashion di Vestiaire Collective. Nel novembre 2022 aveva bandito alcuni marchi di fast fashion dal suo portale. Un anno dopo ha esteso il divieto ad altri brand. Per esempio: Zara, H&M, Gap, Uniqlo, Mango. Sempre a novembre 2023 ha lanciato l’iniziativa Think First Buy Second pubblicando immagini di famosi monumenti mondiali sommersi da rifiuti di abbigliamento. “È nostro dovere agire e aprire la strada ad altri operatori del settore affinché si uniscano a noi in questo movimento, così da avere un maggiore impatto”, ha spiegato Dounia Wone, Chief Impact Officer di Vestiaire Collective (fonte L’Officiel)
Le campagne di ThredUp
Seppure appaia come la più incisiva e determinata, Vestiaire Collective non è sola in questa guerra aperta altro il fast fashion. Nel febbraio 2023 ThredUp, altra piattaforma di second hand, ha aperto il negozio Dump Fast Fashion a tema San Valentino, con l’obiettivo di educare i giovani della Gen Z che predicano di essere sostenibili, ma comprano fast fashion. In precedenza, aveva distribuito coupon ai suoi clienti chiedendo loro di boicottare un pop-up di Shein. Aveva anche lanciato una hotline Stop Fast Fashion che forniva consigli per lo shopping sostenibile.
Altri esempi
A marzo 2023 è uscita ReSet The Trend, la campagna della Commissione Europea che si poneva due obiettivi. Primo: coinvolgere i giovani nella lotta contro il fast fashion. Secondo: sensibilizzare l’opinione pubblica sulla strategia dell’UE per un tessile sostenibile e circolare. A novembre 2023, SFS (Slow Fashion Season) diffonde una campagna per invitare le persone ad evitare il fast fashion e adottare un consumo consapevole e sostenibile. Uno degli impegni richiesti è quello di non acquistarne i prodotti per almeno 1 mese.
Nel settembre 2024 esce Wear Wool, Not Waste, la campagna di Woolmark che presenta un filmato di 60 secondi nel quale le persone corrono per sfuggire a un’invasione di zombie di vecchi vestiti sintetici che infestano il nostro pianeta. A ottobre 2024 lo storico marchio statunitense di calzature Red Wing Shoes pubblica un film-manifesto dal titolo Will Your Wings che mostra come negli stivali Heritage ci sia una sorta di “testamento” cucito, utile per tramandare le proprie scarpe come cimeli di famiglia. Chi sarà il prossimo?
Leggi anche:
- L’esempio californiano del Responsible Textile Recovery Act
- Che cos’altro serve alla gente per diffidare di Shein?
- Europa e non solo: modi e maniere per ostacolare Shein & Co
- La moda di plastica: se non puoi batterla, tassala