Poche sono le mostre che riescono a convogliare così tanta attenzione. Una di queste è quella che apre ogni anno in primavera al Costume Institute del Metropolitan Museum of Art. Per il 2025 il museo si è lanciato in una sfida non semplice: utilizzare la moda come strumento per esaminare, dal punto di vista storico e culturale, il fenomeno del dandismo all’interno della diaspora africana nel corso di trecento anni. Superfine: Tailoring Black Style (New York, fino al 26 ottobre) parte proprio dagli abiti per raccontare le molteplici sfaccettature dello stile nero. Ci siamo stati e ve la raccontiamo
di Domenico Casoria
Superfine: Tailoring Black Style
Non è un viaggio comodo, all’apparenza. Perché quando si entra nella sala che espone gli abiti, gli accessori, i dipinti, le lettere, si ha subito l’impressione che la destinazione finale dipenda da chi guarda. La mostra è stata curata da Andrew Bolton, responsabile del Costume Institute, e Monica L. Miller, docente di studi africani al Barnard College. Il titolo prende ispirazione da un libro della studiosa: Slaves to Fashion: Black Dandism and the Styling of Black Diasporic Identity pubblicato nel 2009. Prima di iniziare l’immersione da una “categoria” all’altra, i curatori ci tengono a sottolineare chi è un dandy: “qualcuno che studia, sopra ogni altra cosa, come vestirsi elegante e alla moda”. È da questa premessa che parte l’analisi dello stile nero attraverso la lente del dandismo, sottolineando – ça va sans dire– l’importanza della sartorialità nella formazione dell’identità nera. Un approccio ancora oggi utilizzato dai designer neri che continuano a reinterpretare la storia.
Le sezioni
Seppur organizzata in 12 sezioni specifiche, il percorso espositivo non è severo. Alcune isole centrali su cui sono esposti abiti di designer contemporanei, fanno da collante tra passato e futuro. Più difficile è invece l’analisi dei colori, visto che i curatori hanno preferito una sala dalle tonalità scure, che poco aiuta a inquadrare gli abiti. Le sezioni, dicevamo, sono dodici. Si passa da campioni a rispettabilità, da distinzione a libertà, da bellezza a patrimonio, per arrivare ad una visione d’insieme. Ogni sfaccettatura è presa in esame, e così, passando dalla sezione travestimento (come strategia di fuga) a libertà, sei ritratti di gentiluomini neri – alcuni conosciuti, altri anonimi – raccontano come lo stile e la ricercatezza dei dettagli siano stati fondamentali nella costruzione di un’identità. Tutti assumono pose bizzarre, proprio a sottolineare il distacco con la ritrattistica classica. Accanto a temi già conosciuti, la mostra vuole anche esplorare genere, sessualità, convivialità o restituire codici chiari ai visitatori. Come nel caso dello scrittore e abolizionista Frederick Douglass. Esposti ci sono un suo cilindro, ma anche un frac, un bastone e gli occhiali da sole, a dimostrazione del fatto che Douglass si vestiva in quel modo per sostenere i neri e i loro diritti, e per rappresentarli così come erano davvero. Senza mediazioni.
La moda
Certo, il capitolo più impattante di Superfine – proprio per una vicinanza temporale – rimane quello legato agli abiti. Va sottolineato che i curatori si sono ispirati anche alla figura di André Leon Talley, storico fashion editor e primo direttore creativo nero di Vogue, scomparso nel 2022, che ha da sempre influenzato il mondo della moda. Tra le creazioni più esposte, chiaramente, quelle di Virgil Abloh, ex direttore creativo di Louis Vuitton (main partner della mostra). Ma ci sono anche qualche richiamo allo streetwear portato avanti dal successore Pharell, i completi in pelle di Salvatore Ferragamo by Maximilian Davis e una riedizione contemporanea dei mules, firmati dalla designer britannico–giamaicana Martine Rose. Per non parlare di giovani designer, come l’olandese-dominicana Lisi Herrebrugh e il suo pettine-borsa in pelle di coccodrillo. Insomma, tutte personalità che oggi decidono il modo in cui ci vestiamo. Ma è proprio questo, forse, l’obiettivo della mostra. Accendere un faro – sperando che non si spenga – su quanto la moda sia stata fondamentale per costruire l’identità nella comunità nera. E quanto ancora oggi continui a esserlo.
Leggi anche: