Shein è nel mirino dell’Europa, che vuole ostacolare in ogni modo l’avanzata del colosso cinese del super fast fashion. Negli ultimi mesi le accuse si sono moltiplicate. Cerchiamo di fare ordine, analizzandole una dopo l’altra
di Massimiliano Viti
Secondo il Financial Times, Shein avrebbe chiuso il 2024 a 36,3 miliardi euro (+19% sul 2023 ma inferiore alle attese da 43 miliardi), sui livelli di Inditex-Zara. L’utile netto è stato di 955 milioni (-40% sul 2023). Ma quello che risulta essere di maggior attualità, non è rappresentato tanto dai bilanci, quanto dalle accuse e dagli attacchi a cui è sottoposto in Europa. Eccole: una dopo l’altra.
Violazione della tutela dei consumatori europei
CPC Network è la Rete di Cooperazione per la Tutela dei Consumatori. È composta dalle autorità nazionali per la tutela dei consumatori e dalla Commissione Europea. Ha svolto un’indagine coordinata dalla stessa Commissione e guidata dalle autorità di Belgio, Francia, Irlanda e Paesi Bassi. Tra le organizzazioni che hanno cercato di sensibilizzare le autorità europee sul modus operandi di Shein figura anche CEC, la Confederazione Europea dell’Industria Calzaturiera. L’indagine ha ravvisato diverse irregolarità che violano la legislazione UE in materia di tutela dei consumatori. Per esempio: sconti falsi; vendite con false scadenze di acquisto; informazioni mancanti, errate o fuorvianti; etichette ingannevoli dei prodotti; greenwashing con affermazioni ingannevoli sulla sostenibilità. L’accusa formale è datata 26 maggio 2025. Shein dovrà rispondere e proporre impegni per affrontare le violazioni individuate. È importante ricordare come questa azione integri l’indagine in corso sul Digital Services Act (DSA). Entrambe mirano a garantire un ambiente online sicuro e affidabile in cui i diritti dei consumatori europei siano pienamente tutelati (fonte Apiccaps).
Shein dà dipendenza
Il 5 giugno BEUC (Bureau Européen des Unions de Consommateurs), insieme a 25 membri provenienti da 21 Paesi, ha presentato a CPC Network una segnalazione contro Shein. Oggetto: numerosi esempi di dark pattern (tecniche ingannevoli per spingere l’utente ad acquistare) che arrivano perfino a piegare la sua volontà. Tra queste anche il cosiddetto confirm shaming, il cui scopo è indurre un senso di colpa nell’utente che sceglie di non acquistare. Il direttore generale di BEUC, Agustín Reyna, ha affermato che “Shein è progettata per creare dipendenza. È guidata da potenti algoritmi che massimizzano il coinvolgimento e l’eccesso di spesa dei consumatori” (fonte: BEUC).
Aumento delle emissioni di co2
Secondo il report sulla sostenibilità di Shein, le emissioni di carbonio generate dal trasporto dei prodotti sono cresciute del 13,7% nel 2024 rispetto al 2023. Cioè, sono più di tre volte superiori a quelle di Inditex-Zara e sono l’equivalente di quasi 2 milioni di veicoli a benzina guidati per un anno. Secondo un’analisi di Stand Earth, l’azienda asiatica ha in realtà aumentato le sue emissioni indirette di oltre il 170%. “Se Shein fosse un Paese – afferma il rapporto – emetterebbe le stesse emissioni di gas serra del Libano” (fontI Fashion Network e Earth).
Il dilemma della quotazione
Shein ha trasferito la sua sede dalla Cina a Singapore nel 2022, mentre le sue catene di approvvigionamento e i suoi magazzini rimangono in gran parte in Cina. Già nel gennaio 2022 si leggevano news secondo le quali aveva ripreso i piani per quotarsi a New York. Ma solo a novembre 2023 ha depositato i documenti per farlo, incontrando molte resistenze per via delle accuse di lavoro forzato. Da qui la decisione di provare alla Borsa di Londra. Ma anche in questo caso, Shein ha dovuto affrontare pressioni sulla sua poco trasparente supply chain e sull’approvvigionamento del cotone. Secondo le accuse fa uso di cotone proveniente dalla regione cinese dello Xinjiang, dove vengono sfruttati gli Uiguri. Pechino nega. Ora Shein sembra aver abbandonato anche Londra per dirigersi a Hong Kong dove, secondo gli analisti, riuscirà ad evitare il severo controllo degli investitori. “La quotazione a Hong Kong eviterebbe probabilmente anche le proteste e la resistenza politica che potrebbe incontrare nel Regno Unito”, ha affermato Craig Coben di Bank of America (fonti Reuters e Marketscreener).
Le accuse di frodi doganali
Un’altra pesante accusa arriva dal Regno Unito. Secondo The Telegraph, l’azienda cinese è stata citata in giudizio dall’Alta Corte per accuse di “manipolazione delle dichiarazioni doganali a fini di evasione dell’IVA”. Hanno presentato la denuncia l’agenzia doganale IT Way Transgroup Clearance (agente per Shein tra il 2021 e il 2024) e Orange Transgroup. I due chiedono un risarcimento danni da 5,8 milioni di sterline. Un portavoce di Shein ha dichiarato a Retail Gazette che le accuse erano “completamente infondate” (fonte Fashion Network).
Il Fast Fashion Act francese
Il disegno di legge denominato Fast Fashion Act è stato approvato dal Senato francese lo scorso 10 giugno. In questo periodo la normativa è diventata più permissiva, escludendo player del settore come H&M, Primark e Inditex-Zara. L’obiettivo della legge, secondo i suoi estensori, è proteggere l’ambiente e il commercio. Da lunedì 23 giugno 2025 deputati e senatori hanno formato una commissione congiunta per analizzare il testo e formulare eventuali osservazioni, per cui l’attività di lobbying è molto forte. Il disegno di legge propone una tassa sui piccoli pacchi spediti da Paesi extra-UE, che va dai 2 ai 4 euro al pacco. Sono previste sanzioni in base ai “costi ambientali” derivanti da una produzione eccessiva. Ma un aspetto interessante è che il testo prevederà una definizione di “fast fashion”, con criteri basati sui volumi di produzione, sulla velocità di rinnovo delle collezioni, sulla “durata di vita” dei prodotti e sul “basso incentivo” a ripararli. Alcuni provvedimenti elencati nella legge, come il divieto totale di pubblicità sulle piattaforme di moda ultra-fast fashion, dovranno essere approvati dalla Commissione Europea. Sebbene Shein sia registrata a Singapore, la sua sede centrale europea in Irlanda potrebbe rappresentare una scappatoia legale (fonte Le Figaro).
La risposta di Shein
Shein afferma che il suo modello di business le consente di produrre in base alla domanda e di avere meno scorte invendute rispetto ai rivenditori di abbigliamento tradizionali, riducendo al minimo gli sprechi. L’azienda si rifornisce della maggior parte dei suoi prodotti da 7.000 fornitori in Cina, ma anche da Brasile e Turchia. L’ultima mossa è l’ampliamento della base dei fornitori indiani da 150 a 1.000 entro un anno. Shein ha un alleato prezioso, Reliance Retail, che possiede la licenza del marchio in India. Reliance è controllata da Mukesh Ambani, l’uomo più ricco dell’Asia. In Francia, la controffensiva di Shein si sintetizza nello slogan “La mode est un droit, pas un privilège” (“La moda è un diritto, non un privilegio”). “Alla fine ci ritroviamo con una legge che non è solo anti-Shein, ma anti-cliente di Shein”, ha dichiarato a AFP Quentin Ruffat, portavoce di Shein in Francia. “Questa legge, se approvata, penalizzerà direttamente i portafogli dei nostri clienti e ridurrà drasticamente il loro potere d’acquisto”. L’azienda ha inoltre accusato l’establishment della moda francese di proteggere i marchi storici e afferma che continuerà a fare pressioni per modificare ulteriormente il disegno di legge (fonti Valori e WWD).
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