Ci mancavano i dazi: il nostro lavoro in un mondo di emergenze

L’avvio della guerra commerciale globale di Trump è l’ennesima emergenza di un mondo di emergenze dove, vittime di “caos e paralisi”, per le aziende è difficile, se non impossibile, pianificare anche solo il prossimo trimestre di lavoro. Che fare?

di Massimiliano Viti

 

Anni fa un piccolo artigiano calzaturiero (ma potrebbe essere un pellettiere, un conciatore, un produttore tessile o un loro fornitore) trascorreva la maggior parte del suo tempo in laboratorio, a curare la produzione. Si informava lo stretto necessario, leggendo un quotidiano, guardando il telegiornale della sera, discutendo con i colleghi. Oggi, quello stesso artigiano è ossessionato – come tutti, del resto, volontariamente o meno – dall’informazione. Dedica meno tempo alla produzione e presta maggiore attenzione alle notizie online, ai social e ad altri canali che lo soffocano di news. Non è diventato pazzo, però. Si informa così, anche perché è consapevole che la sua attività è sempre più interconnessa e dipendente da ciò che accade fuori dal suo laboratorio. Basta una sola decisione presa a migliaia di chilometri di distanza per mettere al tappeto la sua attività, dopo anni e anni di duro lavoro. Si vive e si lavora così, oggi, in un mondo di emergenze.

Un mondo di emergenze

Questo artigiano, probabilmente, saprà che siamo nell’era VUCA, acronimo di “volatility“, “uncertainty“, “complexity“, “ambiguity”. È la definizione di un mondo in rapida evoluzione. Un mondo di emergenze in cui – per le aziende – è difficile adattarsi e sopravvivere. I cambiamenti rapidi e inaspettati sono diventati la norma (volatility). Mutamenti economici, sconvolgimenti politici e pandemie globali rendono impossibile prevedere il futuro (uncertainty). Le sfide sono interconnesse, sfaccettate e spesso difficili da affrontare (complexity).

È estremamente difficile prendere decisioni e si vive alla giornata (ambiguity). Le tensioni commerciali (dazi e quant’altro), il rapido sviluppo della tecnologia (l’intelligenza artificiale, per esempio), le crisi sanitarie, i conflitti geopolitici, il cambiamento climatico e le sfide legate alla sostenibilità sono tutti aspetti di un quadro che Nate Herman dell’American Apparel and Footwear Association (fonte WWD), ha definito come “caos e paralisi“, poiché per le aziende è difficile, se non impossibile, pianificare anche solo il prossimo trimestre.

Cinque volte tanto

Secondo il sito theindustry.fashion, negli ultimi anni le barriere commerciali sono cresciute di cinque volte: ben 3.000 nuove restrizioni commerciali sono state introdotte a livello globale in soli 12 mesi. I conflitti hanno aumentato i ritardi nelle spedizioni fino al 30%, gonfiando i costi e allungando i tempi di consegna. Per un’azienda su tre, l’incertezza economica viene considerata un rischio primario per la propria supply chain.

La condizione dei consumatori

Se questo è lo scenario che vedono le aziende, va tenuto conto anche della condizione dei consumatori, alle prese con una elevata inflazione e con l’aumento dei tassi di interesse e del costo della vita che hanno eroso il loro potere d’acquisto. Per cui sono sempre più sensibili ai prezzi. I marchi della moda si trovano, dunque, al centro di un labirinto di sfide sempre più complesse. Ma, come sempre, esistono opportunità. A coglierle sono spesso i marchi più nuovi e innovativi, “sfidanti”, non gravati da concezioni consolidate su prodotti, negozi e clienti.

Pensare in modo strategico

“Il cambiamento nel settore della moda non è solo ciclico, ma anche strutturale, poiché sono molti i problemi che sono destinati a perdurare. Per esempio, lo spostamento verso la qualità percepita rispetto al prezzo, ristabilendo l’equazione qualità-prezzo” afferma Gemma D’Auria di McKinsey (fonte Modaes). “Le aziende devono smettere di essere tattiche. Non serve più. Ciò che può essere utile in questo momento è fare un passo indietro e pensare in modo strategico.

Studiare e capire quali sono le reali opzioni strategiche e i diversi scenari, perché sarà meno importante riuscire a prevedere esattamente cosa accadrà e sarà molto più importante sapere come rispondere rapidamente a ciò che accadrà. Se fossi un imprenditore sarei preoccupato, ma penserei anche alle opportunità che ci sono”.

La preoccupazione della finanza

Ad essere preoccupati sono anche i mercati finanziari. Nel recente report dall’evocativo titolo “Allacciate le cinture di sicurezza”, Bernstein ha tagliato di 7 punti percentuali le stime per il 2025 del lusso. Prima stimava una crescita del 5%, ora un calo del 2%. Gli analisti sono allarmati dall’estrema incertezza, dalla svalutazione del dollaro e, soprattutto, da una possibile recessione globale. “I consumatori non acquistano il lusso solo perché sono ricchi, ma anche perché sono fiduciosi nelle prospettive future”.

Per questo motivo, le “numerose crisi tariffarie” e i “cambiamenti inaspettati nelle relazioni degli Stati Uniti con l’Ucraina, la Russia, la NATO e altro ancora” hanno avuto conseguenze che influenzeranno direttamente la domanda di lusso, secondo un rapporto di HSBC. (fonte FashionDive) Tutte analisi, parole, preoccupazioni che il piccolo artigiano calzaturiero delle prime righe, bombardato di informazioni, conosce perfettamente. Quello che probabilmente ancora non conosce, però, è la strategia vincente per affrontare un mercato diventato fin troppo complesso e, spesso, non più alla sua portata.

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