Come emergono gli emergenti: finzione o realtà?

Nel mondo di mezzo, quello in cui i grandi brand della moda soffrono, si è aperto uno spazio pressoché sterminato per i marchi emergenti. Ma guadagnarsi il titolo di “emergenti” non è semplice. Ecco perché, spesso, i giovani creativi puntano su esperienze spiazzanti, che non siano già viste e riviste. Ma quanto è labile in confine tra finzione e realtà?

di Domenico Casoria

 

Durante l’ultima settimana della moda maschile di Milano, i fondatori del brand JordanLuca hanno concluso la presentazione della collezione celebrando il loro matrimonio. Facendolo, hanno diviso gli utenti sui social. C’è chi ha scritto che il gesto era il coronamento di una storia d’amore, qualcun altro invece si è chiesto se non fosse meglio mantenere un evento così intimo, per l’appunto, intimo. E quindi la domanda viene spontanea: come emergono gli emergenti?

Come emergono gli emergenti

Prima di scoprirlo, è giusto sottolineare che per questi giovani marchi – che spesso non hanno il supporto di grandi gruppi alle spalle – partecipare a eventi come le Fashion Week, è un investimento costoso e che richiede coraggio. Infatti, se si analizza quello che è uscito sulle passerelle qualche settimana fa, si nota che qualche guizzo creativo c’è stato. Sempre, però, corroborato dalla spasmodica ricerca del nuovo a tutti i costi. Come nel caso di JordanLuca, che in verità non è nuovo a provocazioni. Qualche mese fa, il duo composto da Jordan Bowen e Luca Marchetto ha lanciato un paio di jeans con una macchia che simulava quella lasciata dall’urina. Risultato? Sold out in pochi minuti. Questa volta, invece, hanno concluso la sfilata milanese unendosi in matrimonio, con tanto di ufficiante, invitati e taglio della torta. Secondo i designer, era l’occasione migliore per coronare la storia d’amore. Secondo qualche critico, una messinscena per attirare l’attenzione.

Moda o performance art?

Chi non è nuovo a messinscene che superano il confine tra quello che è e quello che potrebbe essere, è Sunnei. Fondato nel 2015 da Loris Messina e Simone Rizzo, il marchio prova a rompere con le regole della moda convenzionale per costruire abiti che raccontino la contemporaneità. La sfilata allestita per presentare la collezione autunno-inverno ha dissolto i confini tra moda e performance art. “1. Lascia le tue aspettative al di fuori di questo edificio. Abbandona qualsiasi preconcetto, scuotiti via le supposizioni di dosso. 2. Adesso, dimenticati dell’idea di una perfezione perfettamente perfetta e dai il benvenuto alla realtà”. Queste erano le indicazioni date agli ospiti che, poco dopo, si sono visti piombare, letteralmente, i modelli addosso. Una volta finita la passerella, infatti, proprio i modelli si lasciavano cadere sulla folla. Riassunto della sfilata? “Se ti fosse interessato solo guardare, avresti potuto farlo dall’iPhone, ma visto che sei qua ti chiediamo di assumere un ruolo attivo e contribuire, quando capirai come”. Una call to action, insomma. Ma gli abiti?

Il perturbante di Avavav

L’altro brand emergente per eccellenza, che ha improntato tutte le sue presentazioni su quello che Sigmund Freud chiamava “unheimlich”, il perturbante, è Avavav. Fondato nel 2017 dalla designer svedese Beate Karlsson e dai soci Linda Friberg e Adam Friberg, Avavav si è da sempre distinto per un’estetica a dir poco irriverente. La collezione autunno-inverno 2024-2025 (quella più virale) partiva proprio dai social. Più nello specifico, dal mondo degli haters. In passerella, infatti, non sfilavano solo i modelli con i pezzi della collezione, ma anche la spazzatura, a simboleggiare il rifiuto verso il mondo del digitale. Anche in questo caso, i presenti erano il fulcro di questo teatro dell’estremo. Gli ospiti erano stati, infatti, invitati a colpire gli outfit con cibo e manciate di immondizia. Come quella che, metaforicamente, si lancia sui social. Alla fine dello show, la fondatrice è stata colpita con una torta in faccia.

Il senso sociale della moda

Al netto di tutto, però, questi esempi – che raccontano più di una moda che si fa performance – spostano l’attenzione dagli abiti, o quantomeno provano a ricostruire il senso sociale della moda. Quello che tira in ballo tutti. Viene da chiedersi, però, se non sia meglio trovare un punto di di bilanciamento tra provocazione e prodotto finito. O se la provocazione stessa non porti con sé il concetto di limite. Una cosa è certa: il confine tra realtà e finzione è stato già superato. Tocca alla moda, ancora una volta, capire da che parte stare.

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