Le tre storie esemplari di Etro, Emilio Pucci e Missoni ci raccontano di come l’obbligo del nuovo stilista di un brand di confrontarsi con i codici identitari e gli archivi possa nascondere grandi insidie. Soprattutto se il lavoro di rilettura non trova corrispondenza con la contemporaneità
di Domenico Casoria
Quando un marchio presenta una nuova collezione, uno dei primi metodi per leggerla è capire quanto ci sia d’archivio. Quanto, cioè, quello che vediamo corrisponde ai codici che lo rendono riconoscibile. Certi archivi però, più di altri, assomigliano a monoliti difficili da scalfire. È il caso dei brand che hanno nel loro DNA un pattern talmente chiaro da diventare una gabbia, come nel caso di queste tre storie esemplari.
Tre storie esemplari
Emilio Pucci, per esempio, fondò il suo marchio negli anni ‘40, diventando subito famoso per le sue stampe vivaci. Ottavio Missoni e Rosita Jelmini, invece, nel 1953 aprirono un piccolo laboratorio di maglieria a Gallarate, sfruttando il potenziale di un mercato in espansione. Gimmi Etro diede vita alla sua azienda tessile nel 1968 a Milano, affermandosi negli anni per l’estrema raffinatezza delle sue stampe e per il suo motivo Paisley, emblema del marchio. Tre storie esemplari che oggi influenzano (negativamente) chi prova a reinterpretare.
Emilio Pucci
Camille Miceli, la direttrice creativa di Emilio Pucci, ha presentato ad aprile la sua seconda collezione per il marchio. A Roma, nello storico Palazzo Altemps, è andata in scena la rilettura dell’heritage di Pucci. Very Vivara, così si chiamava la collezione, è stata un viaggio nelle vivacissime e ipersature stampe che hanno reso il marchio famoso nel jet set internazionale degli anni ’60. Vivara è proprio in nome del pattern che il marchese Pucci aveva ideato per descrivere lo sfarzo del tempo.
Missoni
Durante l’ultima Milano Fashion Week di settembre, il direttore creativo di Missoni, Filippo Grazioli (poi uscito dal brand) ha riletto lo storico marchio di maglieria puntando su volumi, colori vivaci e una nuova idea di corpo femminile. Facendo un passo avanti e provando a sottrarre a Missoni l’aura da “marchio di moda a metà”.
Etro
Da Etro, invece, c’è è stato un repulisti. Marco De Vincenzo, il direttore creativo, si è ispirato al sud, portando in passerella una collezione stratificata, dai colori accesi e che unisce le stampe iconiche del marchio e quelle che richiamano la vegetazione mediterranea.
Quando l’archivio diventa una gabbia
Il filo conduttore di queste tre collezioni è chiaramente l’archivio come punto di partenza. Che però rischia di diventare un ostacolo se non riletto rispetto alla contemporaneità. Per esempio, la maglia continua a rappresentare uno dei grandi capitoli d’investimento delle case di moda, ma nel caso di Missoni e dei suoi colori saturi di storia, ha bisogno di essere risignificata. Lo stesso Grazioli aveva puntato su un modo diverso di parlare del corpo, mettendo da parte, però, le potenzialità della maglia come tela perfetta per messaggi dirompenti o come manifesto di slogan politici e istanze sociali. Discorso simile per le stampe, che portano in dote una rigidità massima, e che negli ultimi anni sono sparite in parte dalle collezioni, dalle vetrine e quasi totalmente dalle strade. Inquinandole con altri materiali e altre texture si potrebbero trasportare quelle stampe nell’oggi. Solo così si può evitare il lungo viale del tramonto. Se non puoi abbattere l’ostacolo, aggiralo.
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