Siamo stati a Louvre Couture, la mostra che dal 24 gennaio al 24 agosto 2025 (la sua chiusura è stata prorogata di un mese) fa dialogare Objects d’Art e Objects de Mode in un progetto espositivo dove capi di abbigliamento e accessori non sono ospiti, ma protagonisti che dialogano con le opere presenti nelle stanze del museo parigino. Il risultato: straordinariamente bello. Forse troppo
di Luca Fumagalli
Doveva concludersi il prossimo 21 luglio. L’hanno prorogata di un mese, fino al 24 agosto. Una decisione che ne celebra il successo e ne conferma la visione progettuale. Louvre Couture è la mostra che per la prima volta entra in uno dei musei più importanti del mondo non come semplice ospite, ma come protagonista di una vera e propria esposizione artistica. Il suo sottotitolo è rivelatorio di questo obiettivo: Objects d’Art, Objects de Mode. Ne nasce un lungo percorso di visita, che mette in relazione diversi gradi di bellezza artistica e – alla fine, forse – risulta spiazzante, se non stordente, per il modo in cui riempie gli occhi del visitatore.
La mostra, in poche parole
Quasi 9.000 metri quadrati di allestimento, all’interno delle stanze del Département des Objets d’Art del Louvre. 65 abiti/creazioni delle più note e influenti griffe che raccontano il più alto livello creativo della moda del ‘900 e di questo inizio di terzo millennio, affiancate da circa 30 accessori. Il tutto distribuito all’interno dell’esposizione originale permanente del museo, dando vita a “un dialogo stretto, inedito, storico e poetico con i capolavori del Département, da Bisanzio al Secondo Impero”, si legge in una nota del Louvre. E quando scriviamo “all’interno” vi diciamo che questa locuzione avverbiale dovete prenderla molto sul serio. Anzi: dovete prenderla alla lettera.
Quasi come una caccia al tesoro
L’ingresso a Louvre Couture – una volta raggiunto il Département des Objets d’Art – non prepara a quanto ci aspetta nelle successive due ore di visita. Ad accoglierci è un abito firmato Christian Dior, risalente alla collezione Haute Couture estiva del 1949. Bellissimo nel suo taglio semplice, ma perfetto; nell’evidente maestria artigianale della fattura; nel contrasto cromatico tra il bianco e il nero. Accanto all’abito un gioco di cubi grigio argentati loggati con il nome della mostra ci indica la via. Sembra un approccio quasi rigoroso, se non minimale. Varcata la soglia, tutto cambia e “l’immensità enciclopedica del Louvre” – come si legge in una nota del museo parigino – ci travolge, facendoci immergere in quella che – in parecchie stanze – ci è parsa una caccia al tesoro.
La bellezza come forma di dialogo
È una caccia al tesoro perché gli abiti sono accostati fisicamente alle opere decorative – come possono essere, per esempio, gli arazzi – che più gli si avvicinano per rimandi creativi, visivi, stilistici. “Nei termini della storia dell’arte e della moda, i punti di contatto sono innumerevoli. Spesso emergono metodi comuni, conoscenza delle tecniche più antiche, la cultura visiva, il sottile gioco di riferimenti, come se dal catalogo ragionato del museo si arrivasse al moodboard della moda”, ci dice il Louvre.
Parole che prendono vita osservando il frammento di un mosaico bizantino messo in relazione con un abito della collezione Mosaico Sartoriale (inverno 2013/2014) di Dolce e Gabbana, esempio di un dialogo che a volte è facile comprendere, altre volte un po’ meno, perché la ricchissima bellezza delle sale del Louvre un po’ soffoca, un po’ distoglie l’attenzione da quella degli abiti o degli accessori che finiscono per confondersi con le opere d’arte a cui – succede all’interno di certe teche – sono abbinate. Un effetto, quest’ultimo, che da un lato ci sembra porti il visitatore alla consapevolezza che arte e moda sono due espressioni differenti dello stesso linguaggio. Dall’altro lato, però, quel che ne abbiamo ricavato è un senso di confusione. Bellissima, ma pur sempre confusione.
La moda come forma d’arte
Certo è che per quanto riguarda abiti e accessori di livello superartistico, Louvre Couture non tradisce minimamente il suo progetto. La bellezza vera della mostra, infatti, sta nel poter ammirare da vicinissimo – tranne che nel caso di una stanza in cui gli abiti sono posti sopra un’installazione, risultando poco visibili e fruibili – la sapienza artigianale con cui sono confezionati. Dalla straniante Dame de Fer di Balenciaga (2023/2024) a una redingote di Louis Vuitton del 2018 c’è davvero da rimanere senza parole per la finezza e la perfezione dei dettagli. Come nel caso, ma è solo uno tra i 90 e passa della mostra, della borsa firmata Vuitton e disegnata per l’inverno 2009-201 da Marc Jacobs. Un intarsio sensazionale di ricami e patchwork di metalli, tessuti, lurex, pelle di lucertola e pelle di serpente. Talmente bella, talmente artistica che – esposta in una teca singola in una stanza ricolma di gioielli del Louvre – a un primo sguardo ci era sfuggita.
Post scriptum
Detto tutto ciò, resta da dire che Louvre Couture va indubbiamente visitata per capire fin a che profondità si sta spingendo il rapporto tra moda e musei. Rimane un’altra considerazione. L’ultima. Grazie all’incredibile ricchezza del patrimonio del Louvre, dopo più di due ore immersi in questa meravigliosa opulenza, si può uscire dal museo soffermandosi davanti alla Nike di Samotracia. Si può rimanere in silenzio davanti alla sua drammatica dinamicità, arrendersi allo stupore per la sua essenziale sobrietà: e commuoversi.
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