Tre artiste raccontano il mondo interiore attraverso la pelle

Si può trasformare la pelle in una forma di espressione artistica? Fino a quale limite si possono spingere mente e corpo? Il passato ha sempre un peso specifico? Sono questi gli interrogativi alla base dei lavori di Cecilia Bounous, Martina Zanin e Gabriela Gutiérrez Ovalle. Tre artiste diverse che lavorano, ognuna secondo una visione estremamente personale, con la pelle. E che guardano alla pratica artistica come strumento di indagine, lotta, scontro, liberazione, recupero della memoria

 

Cecilia Bounous e l’arte del limite

Il concetto di perfezione può essere una gabbia. Ma con “ProstitutionCecilia Bounous vuole raccontare la tensione che si prova quando quella ricerca arriva al limite. L’opera è composta da una grande pelle bovina frastagliata sulla quale sono inserite, proprio come a trafiggere la pelle, seicentocinquanta lamette del brand Astra. Il significato è profondo. “Spesso la mente decide di sacrificare il corpo per ottemperare ad alcuni obiettivi e per raggiungere una perfezione quasi maniacale. Proprio in questo senso, le lamette posizionate una vicina all’altra in fila, distanziate da una spazio millimetrico e preciso, rappresentano la mente che obbliga il corpo a immolarsi come merce di scambio. Volevo evidenziare i limiti del corpo rispetto alla mente” sottolinea l’artista. Che ha vissuto l’opera quasi come una performance.

“Durante la creazione mi sono resa conto di questo limite, perché avvicinando le lamette l’una all’altra mi sono tagliata”. Anche la scelta del brand di lamette ha un significato specifico. Per rappresentare questa tensione verso la perfezione, Cecilia Bounuos si è ispirata al motto per aspera ad astra, “attraverso le asperità sino alle stelle”. Sacrificare il corpo, quindi, in favore della mente. L’opera è stata esposta in Fondazione Sozzani e non era la prima volta che Bounous lavorava con la pelle. “La pelle mi ha sempre affascinato perchè è un materiale vivo, non rimane immobile, e ti permette di avere un rapporto con la tela. Anzi, certe volte la sostituisce. Oltre al rapporto molto riavvicinato – quello che fai sulla pelle non puoi farlo sugli altri materiali. Come i tagli: farli sulla pelle ti permette di spostarli nel tempo perché inevitabilmente cambieranno”. L’arte del limite, quindi, per spostare sempre più il confine.

Il potere (rovesciato) di Martina Zanin

Una ricerca artistica legata alla sua storia personale. Martina Zanin utilizza l’arte come lente per esplorare in maniera più ampia le dinamiche relazionali, affrontando temi quali la memoria, la ripetizione, l’assenza, la tensione e l’eredità. Attraverso una pratica fluida che invita lo spettatore ad entrare in spazi vulnerabili e a mettere in discussione l’ambiguità delle dinamiche di potere. Il corpo – rappresentato, evocato, metafisico, in relazione allo spazio e in movimento, insieme alla pelle – sono elementi ricorrenti. Un mondo da attraversare, quindi. Come fa l’artista in “Avvistamenti (17 May 12:34)” opera selezionata come finalista per il Talent Prize 2024. “In questa opera indago il rapporto padre-figlia attraverso la metafora del falco con la preda. Il falco è una creatura che incute terrore e fascino. Ho sempre avuto un rapporto intermittente con mio padre, fatto di lunghi periodi di assenza alternati da una presenza severa e violenta. I falchi sono animali indomabili, appaiono e scompaiono a loro piacimento. Da questo aspetto ho iniziato a riflettere su come anche le forme di abbandono siano un’affermazione di potere.

Da circa sette anni, attraverso un diario, comunico con mio padre trasferendo la sua figura nel mondo animale. Si tratta di un ibrido tra un diario e un registro degli avvistamenti, in cui annoto data e ora, accompagnati dalla descrizione del momento o da un pensiero, in una sorta di comunicazione con questa creatura uomo-animale, dove “F” sta sia per Father che per Falcon. In quest’opera il diario privato viene portato ad una dimensione installativa pubblica” spiega Zanin. Senza alcun filtro. Una presa di coscienza dolorosa, forse da esorcizzare, che Zanin mostra al pubblico.L’installazione unisce materiale, verbale e performativo, ed esplora l’ambiguità delle dinamiche di potere, ponendo particolare enfasi sul sottile confine che esiste tra protezione e controllo. Nelle relazioni familiari, ciò che viene interpretato come un gesto di protezione può facilmente trasformarsi in una forma di controllo. La posizione alta e angolare con cui viene installata l’opera, costringe lo spettatore nella prospettiva della preda, confinandolo in un angolo”. Un viaggio interiore che diventa arte. Anche attraverso la pelle. L’uso del cuoio nasce dalla connessione con la falconeria, che è stata significativa alla mia ricerca per via dell’associazione falco-padre. Mi interessa intrecciare questo materiale alla fotografia e alla scrittura, ed amplificare l’esperienza delle opere attraverso un coinvolgimento multisensoriale” conclude Zanin. Il potere (rovesciato) grazie all’arte.

La memoria del corpo di Gabriela Gutiérrez Ovalle

“I primi limiti sono stati il mio corpo e la mia sessualità. Ho cercato di riconoscerli come una spinta creativa e distruttiva da cui poter ripartire per superare la visione patriarcale. La prima frontiera è stata delimitare e stabilire le regole di scambio tra ciò che proveniva dall’esterno in relazione al mio corpo e quello che pensavo dovesse essere il mio posto nel mondo”. Gabriela Gutiérrez Ovalle è un’artista messicana che nella sua pratica intreccia corpo, identità, recupero della memoria e capitalismo. Un lavoro che parte comunque dal concetto di spazio. “C’è uno spazio che si trova “dentro” il corpo e che organizza un intero sistema di relazioni metaboliche che permettono la vita di quell’organismo. Poi c’è il modo in cui il corpo si nutre e si relaziona con il sistema “esterno” che lo contiene, ciò che potremmo chiamare “spazio” anche se entrambi fanno parte della stessa cosa” sottolinea l’artista. Uno spazio politico dove si manifestano crisi ambientali, sociali e violenze.

Nelle sue opere Ovalle utilizza spesso la pelle. Una scelta legata, in un certo senso, alla memoria. “Passeggiando per il centro di Città del Messico sono stata colpita dall’odore della pelle in una pelletteria. Sono entrata nel negozio di pelle e c’erano grandi pezzi di pelle color sabbia disposti su tavoli. In un atto assolutamente impulsivo ho acquisito diversi pezzi di questo materiale senza sapere cosa ne avrei fatto. Col tempo ho capito che mi piaceva che la pelle fornisse informazioni attraverso i suoi segni”. Una memoria del passato, quindi, costantemente in evoluzione. In “Proyecto Cerco”, opera del 2012, il concetto di memoria è centrale. Ovalle crea infatti una recinzione a spirale penetrabile fatta di capelli. Testimoni del tempo.

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