Prima New York e Londra, poi Milano e Parigi: le sfilate di settembre si sono chiuse all’insegna di un’eleganza silenziosa e della portabilità dei capi. Il che rappresenta un notevole cambio di passo rispetto al recente passato. Anche se non tutti hanno scelto questa strada
Alle sfilate di settembre va in scena la totale adesione a un’eleganza silenziosa e alla portabilità dei capi, opposta alla teatralità e all’estro delle scorse stagioni. Prima New York e Londra, poi Milano e Parigi: il mese più ricco della moda si è chiuso segnando un notevole cambio di passo, seppur con qualche eccezione.
I debutti alle sfilate di settembre
I debutti hanno monopolizzato la scena. Su tutti, Sabato De Sarno per Gucci e Peter Do per Helmut Lang che hanno segnato un ritorno al minimalismo e a una moda di sostanza e poco scenografica. Collezioni dal taglio lineare e sartoriale, focalizzate sulla ricerca dei dettagli e perlopiù frutto di una rivisitazione degli archivi, sono state il punto di partenza.
L’immediatezza di Milano
Milano è stata la portabandiera di questo nuovo corso. De Sarno per Gucci ha creato una collezione più immediata e poco concettuale, fatta di microshorts, gonne in pelle e mocassini rivisitati. Miuccia Prada e Raf Simons hanno indagato il DNA di Prada, creando un guardaroba riconoscibile, contaminando l’alta moda con elementi di tutti i giorni. Kim Jones ha celebrato Fendi immaginando una passeggiata attraverso le vie di Roma. Versace si è affidato al glamour misurato di tailleur in tinte pastello, ispirato alla primavera/estate 1982, disegnata da Gianni in persona.
I due fronti di Parigi
Parigi si è divisa su due fronti. Il primo, quello del rigore, con capofila Hermès, Chanel, Dior, Saint Laurent e Valentino che si sono affidati al tema forte della stagione: il quiet luxury. L’ispirazione principale è stata la natura. Hermès ha creato un giardino con spighe di grano e fiori di campo, portando in passerella abiti dal taglio impeccabile, sui toni del bordeaux, del marrone e del rosso e dallo stile classico ma senza tempo. La classicità è stata anche il perno della collezione di Valentino disegnata da Pierpaolo Piccioli. Lo stilista ha esaltato il corpo femminile attraverso ballerine che si muovevano all’interno di vasche con sabbia, terra e pietre, accompagnate da modelle che sfilavano indossando completi ton sur ton con la loro pelle, a sottolineare una nudità poco esagerata. Il secondo fronte è stato quello dei radicali. Rick Owens, Martin Margiela e Louis Vuitton, in barba al quiet luxury e al rigore ormai imperante, hanno creato collezioni dal design più estremo. I protagonisti dello show di Owens sono stati i colori – rosso, arancio, giallo, rosa e le modelle, vestali moderne dal piglio profano e con gli occhi neri. Nicolas Ghesquière per Louis Vuitton si è, invece, affidato all’arte, soprattutto surrealista, destrutturando le borse iconiche della maison.
Differenze di materiali
Le differenze sul piano dei materiali, mai come in questa stagione, sono state centrali. A Milano, la pelle è stata adottata per i soprabiti, le gonne e per gli accessori cult, da Gucci e Prada. Parigi invece, oltre alla pelle per il solito Balenciaga, è stato il trionfo della seta e dello chiffon, soprattutto per Chanel e Dior. Novità solo in casa Valentino, che ha messo a punto una nuova tecnica, l’altorilievo. In altre parole: una scultura di tessuto in tre dimensioni senza un’apparente soluzione di continuità, grazie alla quale sono state create forme naturali. L’idea di un ritorno all’essenzialità si è sviluppata anche nei set delle sfilate, ridotte all’osso e sempre meno ingombranti, in linea con la nuova filosofia. Resta da capire se la direzione intrapresa durerà almeno il tempo di una stagione o se la moda, specchio di quello che succede nel mondo, si è solo presa una pausa di riflessione. (dc)
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