New York, Milano, Parigi, Londra: la maratona delle fashion week femminili di febbraio ha portato in passerella una quantità non indifferente di nuove collezioni e altrettanti trend che sembrano distanziarsi dal quiet luxury. Ecco come
Febbraio è stato il mese della maratona delle fashion week femminili, iniziata con le sfilate di New York, seguite a ruota da quelle di Londra e Milano, conclusa sulle passerelle di Parigi. Il risultato? Una quantità non indifferente di nuove collezioni e altrettanti trend che, però, sembrano allontanarsi definitivamente da quel quiet luxury che ci ha tenuti in ostaggio fino alla scorsa stagione. Bene: ma verso quale direzione si sono diretti?
Oltre il quiet luxury
Sia chiaro, il passaggio oltre il quiet luxury è pur sempre graduale. Ma se alcuni designer hanno scelto di aprire timidamente a colori e forme meno classiche, altri hanno preferito una terapia d’urto fatta di pellicce che gridano opulenza, luccichii, corpi quasi nudi che tornano al centro della scena e abiti che raccontano una storia. Una storia, sì. Perché una delle grandi pecche del quiet luxury è stata la totale mancanza della narrazione intorno alla moda. Che è fatta di prodotti, ma che si alimenta soprattutto di desideri.
Per esempio, Prada ha portato in passerella una collezione che rilegge il passato, analizza il presente (incerto) e getta le basi per un futuro. Come? Sezionando gli abiti attraverso tagli netti. Una collezione chirurgica, fatta di cappotti lunghi dai toni scuri che nascondono sottovesti di seta e orli di pizzo. Una narrazione che ha permeato anche l’altro marchio di casa Prada, Miu Miu, che ha riflettuto sulle varie fasi della vita, creando una collezione che permette alle giovani e alle meno giovani di vestirsi come meglio credono.
Ritorno alla narrazione
Tante storie quindi, anche meno realistiche, come da Loewe, dove JW Anderson ha ricreato un giardino dell’Eden fatto di borse a forma di asparagi giganti e cani stampati sulle gonne. Superiamo, così, una volta per tutte il capitolo quiet luxury. Tranquilli, non è sparito. Semplicemente, la moda è tornata a fare la moda. Valentino e Dolce&Gabbana hanno tracciato due collezioni fatte quasi interamente di nero – che hanno finalmente trasformato il corpo nel nucleo centrale – mentre i classici Hermès e Chanel si sono quasi sbizzarriti, con collezioni dal sapore classico ma con qualche taglio provocatorio.
Altri marchi hanno invece levato l’ancora, ritornando sul lusso alla vecchia maniera, fatto di pellicce abbinate a jeans a vita bassa, guanti col pelo, giacche in pelle dal carattere marcato, spalle appuntite, maculato, gioielli scultorei, lingerie a vista e abiti luccicanti o in colori vivaci. Perfino Sabato De Sarno da Gucci ha cambiato passo, portando in passerella una collezione fatta di cappotti con paillettes e abiti in pizzo trasparente.
Ultimo capitolo
L’ultimo capitolo è dedicato agli emergenti e ai debuttanti. L’emergente (nemmeno tanto) Marco Rambaldi ha stupito perché ha incentrato la sua collezione su un concetto rivoluzionario – l’amore – declinato su abiti che parlano a corpi, generi ed età diverse. Una collezione con una storia e con un prodotto fatto bene, dai maglioni col cuore fino alle gonne in pelle. E poi Sean McGirr, nuovo direttore creativo di Alexander McQueen, che ha iniziato a traghettare il brand con una collezione d’archivio.
Il tempo di andare oltre il quiet luxury è arrivato: il viaggio, però, è ancora lungo.
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