Glamour, cultura, futuribilità: il caso del Festival di Hyères

C’è un festival in Francia che non ha la stessa risonanza mediatica del Met Gala (anzi, ne è lontanissimo), ma che è considerato l’emblema del glamour e, soprattutto, un trampolino di lancio fondamentale per la nuova generazione di creativi. È diventato un caso e vi spieghiamo perché

di Domenico Casoria

 

Più che un evento culturale il Met Gala sembra essere diventato una vetrina sterile per i marchi maggiori che con la scusa di donare sperano di entrare nel vortice dell’hype social. Esiste, però, un festival in Francia che non ha la stessa risonanza mediatica dell’evento americano (anzi, ne è lontanissimo), ma che è considerato l’emblema del glamour e, soprattutto, un trampolino di lancio fondamentale per la nuova generazione di creativi. Stiamo parlando del Festival Internazionale di moda, fotografia e accessori di Hyères che ogni anno indaga la complessità dell’atto creativo nella moda.

Il caso del Festival di Hyères

Fondato da Jean-Pierre Blanc, il festival si tiene ogni anno a Villa Noailles, dimora cubista progettata negli Anni Venti da Robert Mallet-Stevens. Mettiamo subito le cose in chiaro: il Festival di Hyères può contare sull’appoggio di marchi come Chanel, LVMH ed Hermès che rappresentano l’apice del sistema moda francese e sono disposti a sostenere i giovani che nel tempo hanno imparato a utilizzare la manifestazione come megafono delle proprie istanze.

Non è un evento famoso e sponsorizzato come quello che si svolge a New York, soprattutto perché parla al mondo della creazione e non alle star che indossano gli abiti. Tra i vincitori annovera, però, Viktor e Rolf che poi hanno fondato il loro brand. Anthony Vaccarello, direttore creativo di Yves Saint Laurent. Azzedine Alaïa, Dries Van Noten e Julienne Dossena, attuale direttore creativo di Paco Rabanne.

Un plus per i giovani

La presenza dei marchi d’eccellenza francesi è sicuramente un plus per i giovani creativi, che vedono nell’evento la possibilità di un confronto diretto con realtà affermate e che sono invogliati a partecipare. Per esempio, nei lavori andati in scena nell’ultima edizione si è sviluppata l’idea di abito come armatura protettiva, grazie al quale si riesce a costruire (o decostruire) la propria identità rispetto ai rigidi schemi imposti dalla società.

I riferimenti sono stati molteplici, dal designer finlandese Leevi Ikäheimo che ha riportato in vita l’estetica dei rave anni Novanta inserendo spuntoni rigidi, fino alle architetture di Bo Kwon Min che ha costruito “grattaceli” fatti di cinghie in pelle avvolte attorno ai modelli che sfilavano. Ma a stupire sono stati i vincitori delle due categorie più importanti.

Trampolino di lancio

La designer svedese Petra Fagerstrom è stata premiata col Prix Atelier des Matières con una collezione ispirata alla storia della nonna, ex paracadutista sovietica. Il designer belga Igor Dieryck ha vinto il Grand Prix della giuria Première Vision con una collezione che richiamava il concetto di uniforme legato al mondo degli hotel in cui ha lavorato durante gli anni di università. Mettere sullo stesso piano il Festival di Hyères e il Met Gala potrebbe sembrare quasi strano, ma parliamo a tutti gli effetti di una vetrina attiva utilizzata per lanciare nuovi talenti con idee innovative. Soprattutto, è l’anello di congiunzione tra talento e mondo artigianale. E a ben vedere dai nomi, funziona.

 

 

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