Europa e non solo: modi e maniere per ostacolare Shein & Co

Sarà pure un caso, ma da quando circolano le voci su una possibile quotazione di Shein, l’Europa ha cominciato a pensare a come fermare l’espansione del colosso cinese. Così come quella di altri big dell’online come Temu e AliExpress. Tra proposte di dazi, aliquote e costi di spedizione – in Europa e non solo – facciamo il punto della situazione

di Massimiliano Viti

 

Spinta dalla Germania, l’Unione Europea vorrebbe ridurre il valore di un singolo pacco esentato da pratiche doganali che attualmente è di 150 euro. Secondo Bruxelles, nel 2023 sono stati importati 2,3 miliardi articoli al di sotto di tale soglia. Un numero enorme, come dire fra i 4 e i 5 per ogni cittadino europeo. La Cina beneficia di costi postali agevolati, per cui i colossi dell’e-commerce spediscono i loro prodotti a basso costo via aerea direttamente al cliente finale. C’è il sospetto che, per non superare i 150 euro, i portali di e-commerce cinesi effettuino spedizioni “particolari”. Per esempio, organizzando invii multipli per lo stesso ordine.

Europa e non solo

Viceversa, la statunitense Amazon, di solito, utilizza venditori che operano dall’Europa. Tale proposta verrà sottoposta alla nuova Commissione Ue, che entrerà in carica tra qualche mese. Tra l’altro, anche USA e Indonesia stanno pensando ad una legge simile. A Ferragosto la Turchia ha ridotto il valore minimo a partire dal quale si applicano dazi doganali e aliquote fiscali sui prodotti importati, da 150 a 30 euro. Intanto i calzaturieri brasiliani lamentano il fatto che le grandi piattaforme internazionali inviano pacchi fino a 50 dollari di valore con esenzione totale dalle tasse di importazione.

Implicazioni non trascurabili

L’idea dell’Europa, che sicuramente farà piacere a gruppi moda come Inditex-Zara e H&M, ha delle implicazioni non trascurabili. La prima è che il lavoro delle dogane si moltiplicherebbe, con funzionari già ora sovraccariche nel controllo della qualità delle merci in arrivo. La seconda è che alzare barriere doganali vorrebbe dire alzare l’inflazione in un periodo in cui BCE (Banca Centrale Europea), ma anche l’americana FED (Federal Reserve System), sono piuttosto sensibili all’argomento.

Un’altra direzione

I paletti europei vanno anche in un’altra direzione. Dallo scorso 26 aprile, la Commissione Europea ha definito ufficialmente Shein come “piattaforma online di dimensioni molto grandi” ai sensi della legge sui servizi digitali. In quanto tale, quindi, è soggetta a determinati obblighi. Shein dovrà conformarsi alle norme più rigorose previste dalla legge sui servizi digitali entro 4 mesi dalla sua notifica (fine agosto 2024). Per esempio: l’obbligo di adottare misure specifiche per responsabilizzare e proteggere gli utenti online, compresi i minori. Oppure: valutare e attenuare debitamente eventuali rischi sistemici derivanti dai loro servizi. A questo si sono aggiunte segnalazioni presentate da alcune organizzazioni europee per la tutela dei consumatori.

Una sorveglianza più attenta

La Commissione europea intende dunque verificare che siano state applicate le misure richieste dalla legge sui servizi digitali (Digital services act, Dsa). In particolare, Bruxelles chiede ai giganti dell’e-commerce una sorveglianza più attenta sui prodotti illegali. Ma anche misure di protezione rafforzate per i consumatori, maggiore trasparenza e responsabilità. Bruxelles dovrà poi decidere se aprire un procedimento formale e imporre sanzioni periodiche.

Qualificare la supply chain

I dirigenti cinesi sono rimasti scontenti della pioggia di critiche che Shein ha dovuto affrontare da quando è arrivata la notizia della sua intenzione di quotarsi alla Borsa di Londra. Secondo Fashion Network, ciò è alla base della decisione di Shein di voler utilizzare un maggior numero di fornitori più vicini ad alcuni dei suoi principali mercati di destinazione come Europa e Regno Unito.

Per qualificare la propria supply chain, sempre oggetto di feroci critiche nonostante gli impegni presi negli anni, Shein starebbe pianificando di inserire aziende turche nella propria catena di fornitura per l’Europa. L’ultima mossa è il lancio di un “fondo di circolarità” da 200 milioni di euro in 5 anni per migliorare la supply chain. Si aggiunge ad altri 50 milioni destinati a “potenziali investimenti in R&S o impianti di produzione pilota in Europa o nel Regno Unito”.

Leggi anche:

 

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER