L’esempio californiano del Responsible Textile Recovery Act

Il 29 settembre 2024 la California ha approvato (anticipando New York, che ci lavora da tempo) il Responsible Textile Recovery Act. In questo modo diventa il primo Stato degli USA a implementare un programma di responsabilità estesa del produttore. E in Europa?

di Massimiliano Viti

 

Il 29 settembre 2024 potrebbe essere una data significativa per l’industria fashion. Gavin Newsom, un possibile candidato alla Casa Bianca dopo la rinuncia di Joe Biden, poi surclassato dalla sua amica Kamala Harris, è il governatore della California. Tra le 100 leggi approvate quel giorno c’è anche la SB 707 “Responsible Textile Recovery Act of 2024. In questo modo la California diventa il primo Stato degli USA a implementare un programma di responsabilità estesa del produttore (EPR) incentrato sulla moda e sui tessuti.

Il Responsible Textile Recovery Act of 2024

Ai marchi l’onere di gestire e finanziare il ciclo di vita dei propri prodotti. Sinteticamente, i produttori e rivenditori tessili (marketplace compresi) con un fatturato annuo globale superiore a 1 milione di dollari che operano in California devono presentare un piano completo per la raccolta, il trasporto, la riparazione, lo smistamento, il riciclo e la gestione sicura e corretta dell’abbigliamento e dei prodotti tessili nello Stato. Si parla di calzature, costumi da bagno, indumenti intimi e borse. Sono stati definiti anche gli step che i soggetti coinvolti devono seguire per arrivare preparati al 2030, anno in cui è richiesta la piena conformità alla legge e a partire dal quale scatteranno le sanzioni. Si va da 10.000 a 50.000 dollari al giorno.

Obiettivo californiano

L’obiettivo della SB 707 è sviluppare upcycling e riciclo e ridurre la quantità di materiali destinati in discarica. Si tratta di circa 1,2 milioni di tonnellate di tessuti, nonostante il 95% di essi sia riutilizzabile o riciclabile, con un costo per i contribuenti di oltre 70 milioni di dollari. Ma è evidente che la legge mira a limitare l’impatto ambientale del fast fashion e “della cultura usa e getta che ha favorito” aggiunge Newman. Nel 2030, i californiani anziché gettare in discarica indumenti e tessuti per la casa li porteranno in negozi dell’usato, enti di beneficenza e altri siti di raccolta. Qui verranno selezionati e riciclati. Vuol dire che il costo della gestione dell’indumento passa dallo Stato alle aziende che, indicativamente, sborseranno meno di 10 centesimi per capo di abbigliamento o tessuto. American Apparel and Footwear Association (AAFA) ha votato contro questa legge, ma si adeguerà. La California avrà gli occhi del mondo puntati addosso mentre implementa la prima legge di questo genere.

Più veloce di New York

La California è stata più veloce di New York, dove, per il terzo anno consecutivo, il Fashion Sustainability and Social Accountability Act (più noto come New York Fashion Act) non è arrivato in aula in tempo per la votazione. Anche a causa delle resistenze di potenti gruppi commerciali, come AAFA. Ma i sostenitori della normativa non demordono. Il NY Fashion Act è ancora più impattante per brand e rivenditori. Le aziende che generano più di 100 milioni di dollari di reddito lordo globale sarebbero tenute a ridurre il loro impatto ambientale in modo da allinearsi agli obiettivi delineati dal disegno di legge, che includono, ad esempio, la riduzione delle emissioni di gas serra per essere in linea con l’accordo di Parigi. Alle imprese viene richiesto perfino di mappare e divulgare almeno la metà dei loro fornitori in base al volume. Le differenze normative tra California e New York suggeriscono la necessità di un allineamento delle regole (non solo negli USA). Gli Stati Uniti ci stanno provando attraverso l’Americas Act, un disegno di legge bipartisan che dispone di oltre 14 miliardi di dollari in incentivi per la circolarità nell’abbigliamento, nelle calzature, negli accessori e nella biancheria per la casa.

I primi in Europa, i francesi

La Francia è stato il primo Paese europeo a introdurre un sistema EPR per i tessili nel 2007 (in vigore dal 2008). Dal 18% nel 2007, la quota dei rifiuti tessili riutilizzati è passata al 39%. Dal primo luglio 2023, i Paesi Bassi hanno introdotto la responsabilità EPR creando un proprio programma. Poi è arrivata anche l’Ungheria. L’Unione Europea ha imposto un’espansione della raccolta tessile per tutti gli stati membri entro il 2025. L’introduzione dell’EPR per i prodotti tessili, fino ad estendersi ai prodotti che contengono materiali legati al settore tessile, come pelle, pelle rigenerata, gomma o plastica. La bozza finale delle nuove norme è attesa per la fine dell’anno.

Il caso spagnolo

La Spagna ha fatto un passo in avanti. In attesa della pubblicazione del Decreto Reale che dovrà recepire la Direttiva Europea sulla responsabilità estesa del produttore, ha varato Re-viste, il primo programma pilota per la raccolta dei rifiuti tessili. Re-viste mira a testare l’efficacia dei sistemi di raccolta ed è supportato da grandi marchi come Inditex-Zara, Decathlon, H&M, Ikea, Kiabi, Mango, Tendam, Sprinter, El Corte Inglés e Primark, Containerizzazione, raccolta, preselezione, classificazione e riciclo sono le cinque fasi di cui si occuperà Re-Viste. Il programma inizierà ad aprile 2025. Saranno testati diversi metodi di raccolta in sei comuni spagnoli con un totale di circa 300.000 abitanti, distribuiti tra aree urbane, semiurbane e rurali.

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