Si chiama Fashion Act, ma il suo nome per esteso è Fashion Sustainability and Social Accountability Act. E promette, nel caso diventasse legge, di rivoluzionare l’approccio commerciale di brand e griffe, dal fast fashion al lusso, presenti nella Big Apple. Vediamo perché
La Statua della Libertà potrebbe presto essere chiamata anche Statua della Sostenibilità. Infatti, a New York, i legislatori hanno scritto il Fashion Sustainability and Social Accountability Act, altrimenti detto, più brevemente, Fashion Act. Un disegno di legge che, se approvato, metterà marchi e griffe del lusso davanti a una nuova realtà.
Il caso di New York
Il Fashion Act imporrà ai marchi con oltre 100 milioni di dollari di fatturato annuo (sia del lusso che del fast fashion), e che generano ricavi commerciali a New York, di mappare (nel senso di elencare e tracciare) almeno il 50% della loro catena di approvvigionamento. In altre parole: dall’origine dei materiali al prodotto in vetrina. Il brand quindi sarà costretto a rivelare i nomi dei suoi principali fornitori. Poi: quanti e quali materiali questi fornitori producono annualmente insieme al volume di materie prime riciclate utilizzate. E non finisce qui.
Se la sostenibilità diventa legge
Saranno chiamate a pubblicare annualmente un “rapporto sulla sostenibilità sociale e ambientale”, a divulgare il loro impatto climatico e sociale, a stabilire obiettivi annuali per ridurlo. Dunque, non si tratta di segnalare le buone intenzioni green, ma di fare e agire. Le imprese avranno 12 mesi per mettersi in regola sulla mappatura e 18 mesi per tutto il resto. Chi non rispetta la legge potrà essere multato fino al 2% dei suoi ricavi annuali superiori a 450 milioni di dollari.
L’obiettivo del Fashion Act
Per i legislatori e i sostenitori della legge l’obiettivo è quello di fare del mercato un “campo da gioco uniforme, con regole uguali per tutti”. Partendo da brand/insegne del fast fashion (esempio: Shein) fino ad arrivare a marchi di segmento più alto. Secondo Maxine Bédat (fondatrice del New Standard Institute e sostenitrice del Fashion Act), infatti, l’obiettivo è quello di mettere “tutti sulla stessa linea” in modo che “tutti facciano la cosa giusta”.
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