Il collettivo di New York si prende gioco del lusso vendendo a 40 dollari le shopping bag di carta usate nei negozi delle griffe. Risultato: sold out in meno di un minuto. È la sua ultima dissacrazione e forse la più soft. Vi raccontiamo quelle che hanno creato scalpore e fatto discutere il fashion system
Già un paio di decenni fa, a Londra, la gente amava passeggiare con le shopping bag di Harrods vuote o contenenti oggetti personali, come fossero “normalissime” it bag. Lo scopo era, banalmente, quello di utilizzarle come beni di appartenenza. In altre parole: servivano per apparire più benestanti della realtà. Questa ambizione non sembra essere passata di moda ed è stata presa di mira dal collettivo MSCHF che ha creato il provocatorio progetto Only Bags. Ed è solo l’ultima dissacrazione del lusso di una lunga, discussa serie.
L’ultima dissacrazione del lusso
Only Bags è un sito che vende (o meglio vendeva: i “sacchetti” sono andatI sold out in meno di un minuto) buste griffate di Fendi, Hermès, Supreme, Burberry e Prada a 40 dollari ciascuna. Ancora una volta il collettivo newyorchese ha raggiunto l’obiettivo: provocare il lusso, la sua immagine, la sua dimensione, facendo di questa dissacrazione un veicolo virale online.
Le provocazioni di MSCHF
Più di tutto (del prodotto, del fatturato) quel che conta è il messaggio, pare voler dire MSCHF. Non a caso, quando nel 2019, realizzò le controverse Jesus Sneaker (avevano un crocefisso intrecciato ai lacci e acqua del fiume Giordano all’interno del fondo), il suo CEO, Gabriel Whaley, spiegò al New York Times che “la storia raccontata dalle sneaker era più importante del realizzare un profitto”. Idem dicasi per le Birkinstock prodotte nel 2021. Erano sandali realizzati con la pelle ricavata dalle iconiche borse Birkin Hermès e suole in sughero Birkenstock. Oppure per le Satan Shoe: sneaker Nike Air Max 97 contenenti una goccia di sangue umano. Nessun marchio ha approvato questi hackeraggi creativi dei suoi accessori, anche perché spesso camminano sul confine della legalità (oltre che del buon gusto, sostengono alcuni).
Una specie di Banksy
Tutto ciò non rappresenta un freno (anzi…) per il collettivo di New York, composto da circa 30 creativi. Anche perché, ormai, c’è chi lo definisce come “il Banksy della cultura del consumo”. In altre parole, un collettivo che prende di mira (con il dovuto, ironico cinismo) la deriva consumistica del contesto sociale e del lusso rilasciando ogni settimana un progetto. Il tutto, alla luce di una precisa strategia: “Tutto ciò che creiamo, digitale, fisico o qualunque cosa sia, è in qualche modo a cavallo tra arte, lusso, moda, hypebeast, capitalismo, commenti sociali” spiega a WWD il cofondatore di MSCHF, Daniel Greenberg. Quale sarà la prossima dissacrazione?
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