“Everything I do is for the 17-year-old version of myself”, diceva Virgil Abloh spiegando in che modo, ogni giorno nell’ultimo decennio, avesse ridato senso e vitalità ai codici generazionali, stilistici e dei consumi del lusso. Arrivando ad avere in mano le chiavi creative di un colosso come LVMH. Chi riuscirà, a fronte di queste premesse, a raccogliere la sua eredità?
Non amava definirsi. Non a caso, di sé, diceva: “I’m not a designer”. Preferiva l’acronimo TBD, “To Be Defined”, Virgil Abloh. Formula perfetta nel tracciare la sua carriera che da DJ è arrivata alla direzione creativa del menswear di Louis Vuitton. Qui, però, il 28 novembre 2021, all’età di 41 anni, il destino l’ha cristallizzata per sempre, decretando, oltre lo sconcerto e il cordoglio per la sua scomparsa, l’eterna consacrazione di Abloh a genio creativo che ha bruciato i codici generazionali dei consumi del lusso e scardinato ogni sua dinamica di consumo. Perché, se oggi non si fa altro che parlare di come “i giovani” possono e potranno trainare le vendite del fashion system d’alta gamma, molto del merito lo si deve a lui che ha trasceso categorie e generi e fatto del lusso non più una cosa da ricchi, statica, vecchia, conservatrice. Ma una nicchia in ossessivo divenire, di cui è importante fare parte perché scommette tutto sull’esclusività di un hype che non perde mai d’intensità. Roba da giovani, insomma.
Bruciare i codici generazionali dei consumi del lusso
Un eretico. E, in quanto tale, in grado di bruciare i codici generazionali dei consumi di un lusso che parlava solo a se stesso. L’ha sporcato, ibridato, buttato per strada, per usare una metafora quanto mai calzante. Giocando, nel vero senso della parola, con qualsiasi accessorio, prodotto, capo di abbigliamento alla luce di un approccio che, nel massimo della serietà (non sarebbe approdato da Vuitton, altrimenti), ha imposto l’idea vincente del prendersi meno sul serio. Sintesi ideale di tutto ciò, la sua frase manifesto: “Everything I do is for the 17-year-old version of myself”. E, guarda caso, chiedete a un 17enne di oggi chi era Abloh e saprà rispondervi. Non è così scontato che accada con molti altri stilisti di primo piano.
Lusso da strada, mille strade per il lusso
L’idea disruptive di Abloh, in sintesi, è stata questa: mixare lo streetwear USA con la moda europea. E viceversa. “I Levi’s vintage sono importanti tanto quanto una borsa Hermès e oggi si uniscono nello stesso outfit” diceva. Con questa (spiazzante) verità in tasca, Abloh muove i primi passi nel fashion system nel 2009, quando lui e Kanye West svolgono uno stage di 6 mesi da Fendi per 500 dollari al mese. Nel 2012 Abloh fonda Pyrex Vision, che chiude l’anno dopo. Il progetto successivo fa centro. È Off-White, che basa il suo successo sull’unione strategica tra la sensibilità stilistica dello streetwear a stelle e strisce e la qualità della manifattura italiana”. Off-White è per Abloh la palestra ideale per sperimentare senza sosta quello che definisce “l’approccio del 3%”. In altre parole, è sufficiente modificare il 3% del prodotto per farlo sembrare allo stesso tempo familiare e completamente nuovo.
La sua lingua, diventa un linguaggio condiviso
Per lo stilista che, scrive Business of Fashion, è “quasi come se avesse creato la sua lingua, il suo vocabolario” la consacrazione arriva a marzo 2018. Louis Vuitton lo nomina direttore creativo del menswear. “Puoi farlo anche tu” scrive il designer su Instagram subito dopo. “Virgil non era solo un geniale designer, un visionario: era anche un uomo con un’anima bella e una grande saggezza” dice Bernard Arnault sui profili social di LVMH. Saggezza che dimostra, per esempio, quando nel 2020, dichiara: “Lo streetwear è morto”. Poi chiarisce: “Intendevo dire che nuove cose come la moda (proveniente) da ragazzi come Nigo e me nasceranno dalla rigenerazione dello streetwear“. Ecco, se c’era una cosa della quale Abloh non hai dimostrato di aver paura è stato proprio questo rincorrere “il nuovo”. Un coraggio talmente contagioso, vitale e monetizzabile che a luglio 2021 LVMH gli ha dato carta bianca, garantendogli la possibilità di lanciare marchi e siglare partnership con tutti i marchi della galassia LVMH. Un riconoscimento assoluto, le cui ragioni trovano una sintesi perfetta nelle parole di Silvia Venturini Fendi, che lo conobbe ai tempi dei suoi primi passi. “Sicuramente Virgil rappresenta il grande cambiamento che la moda ha effettuato in questi ultimi anni. Una persona che spazia. Non si può più parlare di designer, perché la definizione di designer è forse anche riduttiva”.
Chi sarà il suo successore?
Mentre scriviamo (venerdì 17 dicembre 2021) ancora non lo sappiamo. Ma le ipotesi si sprecano. Quella più ribattuta e allo stesso temp, per molti, meno credibile (fino a prova contraria) l’ha lanciata The Sun facendo il nome di Kanye West, che con Abloh condivise lo stage da Fendi. Personalità ingombrante e carattere poco docile, West marcherebbe ancora più in profondità i confini disruptive della “dimensione Abloh”. Ma in molti ritengono che per Vuitton sia una mossa fin troppo azzardata. Hypebeast mette in pole position Daniel Lee, ex Bottega Veneta, e Kris van Assche, ex Berluti, e in seconda fila Riccardo Tisci (Burberry). Ma “sarebbe un’occasione persa, se Louis Vuitton non prendesse in considerazione la generazione di brillanti designer di colore cresciuta intorno ad Abloh” scrive la testata. Un nome su tutti: il direttore creativo globale di Reebok, Kerby Jean-Raymond che, però, ha l’abitudine di lanciare espliciti messaggi politici. Cosa che Louis Vuitton, da sempre, desidera evitare. Gli altri nomi sono quelli di Shayne Oliver, fondatore di Hood By Air, e dei collaboratori di Abloh, Samuel Ross e Heron Preston. In lizza ci sarebbe anche Telfar Clemens. Tra i papabili anche Nigo, fondatore del marchio streetwear A Bathing Ape e attuale direttore creativo di Kenzo. Quest’ultima ipotesi è la più affascinante: Nigo è un designer che Abloh ha sempre stimato e che con Louis Vuitton ha già rilasciato due fortunate collaborazioni. Sarà lui?
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