Perché non compriamo green se della sostenibilità sappiamo tutto?

Non è solo una questione di prezzo, che rimane comunque un grosso ostacolo per qualsiasi scelta etica. Quando, pur essendo consapevoli di tutte le implicazioni green dei nostri acquisti fashion, compriamo abiti e accessori non sostenibili, i fattori in gioco sono molti di più. Come ci spiegano le fashion psychologist Carolyn Mair e Dawnn Karen

di Massimiliano Viti

 

Sempre più spesso si leggono notizie sull’impegno dei marchi per migliorare la sostenibilità nell’industria della moda accostate all’andamento positivo dei brand del super fast fashion asiatico e del fast fashion europeo. Ciò suona come una contraddizione senza un possibile compromesso. Evidentemente, non è solo una questione relativa ai consumatori più giovani che, da un lato, nei sondaggi professano la loro anima green e, dall’altro, la tradiscono comprando al prezzo più basso. È un comportamento molto più ampio e trasversale alle generazioni. Perché, se la maggior parte dei consumatori è consapevole che la moda low price non sia sostenibile, continuiamo ad acquistarla?

Fear Of Missing Out

Per la psicologa Carolyn Mair, autrice del libro di successo mondiale The Psychology of Fashion, la risposta è semplice. I consumatori acquistano fast fashion, pur sapendo che non è sostenibile, “perché cercano di alleviare il disagio provato dalla dissonanza cognitiva che si verifica quando un’azione (in questo caso gli acquisti) entra in conflitto con i valori (in questo caso la sostenibilità)”. Mair sostiene che questo comportamento viene mitigato da giustificazioni del tipo “il mio comportamento è di poco conto, non sposta gli equilibri”.

Infatti, spiega che molti marchi – non solo del fast fashion – utilizzano strategie psicologiche che portano il consumatore all’ansia sociale chiamata FOMO, acronimo di “Fear Of Missing Out”. Ovvero, la paura di essere tagliati fuori.  “Anche la gratificazione istantanea gioca un ruolo importante – osserva Mair – in quanto il fast fashion offre un modo economico per sentirsi alla moda e ricevere rapidamente una conferma sociale. Questo processo decisionale è sostenuto dalla limitata accessibilità di alternative sostenibili sia in termini di costi che di convenienza”.

Il problema del prezzo

È evidente come il principale ostacolo che impedisce al consumatore di compiere scelte sostenibili sia il maggior costo dei prodotti green. Secondo Mair, però, c’è dell’altro. Per esempio, barriere psicologiche e sociali. “Un fattore chiave è la nostra tendenza ad adottare un comportamento abitudinario che ci spinge a comprare marchi familiari e a resistere ai tentativi di interrompere i modelli di acquisto radicati. Un altro è la stanchezza decisionale che ci porta a scegliere le opzioni più convenienti e mainstream piuttosto che ricercare alternative sostenibili”.

Mair ritiene che la maggior parte dei consumatori, anche a causa del greenwashing, abbia una limitata consapevolezza di ciò che costituisce una moda veramente sostenibile, il che aggrava il problema. “Inoltre – prosegue – tendiamo a comportarci secondo le norme sociali. Pertanto, se la sostenibilità non è una priorità per i nostri coetanei, è probabile che non lo sia nemmeno per noi”. Servirebbero campagne pubblicitarie educative, una migliore accessibilità e maggiore convenienza della moda ecologica. Costi che nessuno vuole accollarsi ma che prima o poi imprese private e pubbliche dovranno dividersi se si vuole cambiare.

Acquisti apparentemente inconsapevoli

“Quando le persone non sono consapevoli delle loro convinzioni, delle loro emozioni e dei loro stati d’animo, finiscono per acquistare, acquistare e acquistare ancora in modo apparentemente inconsapevole. Ma devo dire che, dopo la pandemia, sono diventate più consapevoli di come si sentono in generale e di cosa provano indossando quel capo di abbigliamento, quel paio di scarpe o quella borsa” commenta Dawnn Karen, fondatrice The Fashion Psychology Field e del Fashion Psychology Institute (e autrice del volume Dress your best life, arrivato al primo posto nella classifica Amazon, categoria commercial fashion). Secondo la psycologist, le persone oggi si chiedono realmente dove e come viene fabbricato il prodotto moda che stanno per acquistare e quando e come verrà smaltito.

“Proprio questa è una delle ragioni nascoste per cui il campo della psicologia della moda è stato istituito. Per creare e rafforzare questa consapevolezza interna, per spingere le persone a dare risalto alla propria consapevolezza in modo da non danneggiare sé stessi e/o gli altri e/o l’ambiente”. Secondo Karen il consumatore non compra in base al proprio sistema valoriale, ma prevale l’impulso. “Per cui c’è uno scollamento tra quello che sentono nel profondo e quello che sentono in superficie. Hanno questo insaziabile bisogno o desiderio di comprare qualcosa, comprare, comprare”.

Comprendere il ruolo emotivo e simbolico della moda

Acquistando in maniera compulsiva (non solo fast fashion) i guardaroba sono stracolmi di abiti e accessori. Per cui occorre che la sostenibilità si integri necessariamente nel processo di acquisto del consumatore. “Per far questo è essenziale comprendere il ruolo emotivo e simbolico della moda, le cui scelte possono essere utilizzate per riflettere l’identità, lo status sociale e gli stati emotivi” spiega Mair. In altre parole, armadi ben forniti e abbondanti rispecchiano preparazione e adattabilità sociale, “soddisfacendo bisogni psicologici profondi di appartenenza e di espressione di sé. Per indirizzare questa mentalità verso la sostenibilità – prosegue Mair – occorre rendere la moda etica più accessibile a tutti. Comprendere la psicologia del comportamento sostenibile nella moda è essenziale per sviluppare strategie efficaci per promuovere e adottare pratiche sostenibili, sia a livello individuale che industriale”.

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