Il magic moment degli USA e gli scenari della parità dollaro ed euro 

Il cambio tra dollaro ed euro torna in parità per la prima volta dopo 20 anni e rende più appetibili per i consumatori americani le produzioni europee e gli acquisti nelle boutique del Vecchio Continente. Ma a New York temono che il loro attuale magic moment si sgonfi per colpa (anche) della più alta inflazione degli ultimi 40 anni 

 

Quanto durerà il magic moment degli Stati Uniti? La parità del cambio tra euro e dollaro spinge gli americani a venire in Europa, anche per fare shopping di lusso. Ma a New York, a causa della più alta inflazione degli ultimi 40 anni, si fanno già strada sentiment pessimisti per il futuro. L’inflazione, infatti, alza i prezzi e contrae il potere d’acquisto dei consumatori. In un sondaggio condotto da FDRA (Footwear Distributors and Retailers of America) l’87% delle aziende associate prevede un calo dei ricavi da qui fino a fine anno. E se le vendite non ci sono, l’import di prodotti in arrivo da area euro, made in Italy in prima fila, è destinato a scendere. Anche di fronte alla parità valutaria.

Gli scenari della parità euro/dollaro

Per la prima volta dal 2002 euro e dollaro hanno lo stesso valore. Il minimo storico è stato toccato a quota 0,83 nel 2001. Mentre nel 2008, nell’anno della crisi finanziaria, il cambio medio è stato di 1 euro contro 1,47 dollari, fino ad un massimo di 1,60. Facile capire come oggi possa essere conveniente per un consumatore statunitense fare shopping in Europa. Per esempio, Chanel, che applica la strategia di armonizzazione dei prezzi in tutto il mondo. Prendiamo la sua Classic Flap: da febbraio a oggi potrebbe costare a un cliente americano che la compra in Europa 1.000 dollari in meno. Allora, infatti, per un euro servivano 1,13 dollari e i 7.800 dello scontrino, tradotti al cambio, valevano 8.800 dollari. Un bel vantaggio per chi arriva da New York, almeno fino a quando Chanel non deciderà di intervenire e di aumentare i prezzi europei. (Eh sì, l’armonizzazione prevede sempre l’adeguamento verso l’alto del prezzo più basso e mai il contrario).

Ancora di più 

Nel caso di prodotti di altre griffe, che già vendono a un prezzo più conveniente in Europa, come Hermès e Louis Vuitton, il risparmio è ancora più alto. Ecco, quindi che, tra la parità valutaria e il rimborso dell’IVA, per gli acquirenti statunitensi la spesa per i beni di lusso europei potrebbe avvicinarsi ai minimi storici. E se, una volta tenuta a bada la pandemia, anche i cinesi riprendessero a viaggiare, si profilerebbe uno scenario molto favorevole per l’Europa. Sarebbe difficile non ipotizzare un boom dei consumi. Anche se, sul fronte comunitario, il lato sfavorevole è dato dall’import di beni e servizi dai Paesi in area dollaro. Costeranno di più, facendo lievitare i costi di produzione.

Cosa si dice in Italia 

In Italia, i marchi ben posizionati sul mercato a stelle e strisce si sfregano le mani e tutti gli altri vorrebbero imitare Cristoforo Colombo, non tanto per scoprire l’America quanto per approdarci. Nel primo trimestre 2022 l’export italiano verso gli USA ha registrato un roboante +76,6% per la pelletteria e +70% per la calzatura. La parità tra euro e dollaro potrebbe dare un’ulteriore spinta. Come sottolinea Salina Ferretti (Calzaturificio Falc, Responsabile Laboratorio USA per Assocalzaturifici): “Il cambio favorevole non è un pass per entrare nel difficile mercato USA”. Nel breve periodo, la parità tra le due valute offre un vantaggio alle aziende italiane, parzialmente ridotto dal prevedibile aumento dei prezzi di materiali e servizi importati. Ma la parità non è (ancora) un booster per gli ordini. Prima di tutto perché tra 4-6 mesi, quando avverrà la consegna del prodotto ordinato, non si sa quale sarà il cambio. Secondo: bisognerà considerare l’andamento delle vendite dei prodotti moda negli Stati Uniti che, più del cambio, ne influenzerà il riacquisto.

Il magic moment degli Stati Uniti? 

William White, fondatore di Di Bianco (marchio statunitense di calzature prodotte in Italia), conferma il magic moment degli USA in quanto “i consumatori vogliono spendere per viaggiare e vivere bene”. Ma poi avverte: “L’inflazione è un problema. Credo che ci sarà una crisi economica nel 2023 perché il costo della vita sarà alto e la gente dovrà adeguarsi”. Un’opinione che trova le prime conferme sia nel sondaggio FDRA sia nei pareri degli analisti. HSBC prevede, infatti, che la crescita americana rallenterà nel secondo trimestre del 2022.

Il booster postpandemico 

Negli Stati Uniti l’impennata degli acquisti è coincisa con il ritorno nei luoghi di lavoro, delle cerimonie, eventi e occasioni formali. NPD Retail Tracking ha rilevato che, tra gennaio e maggio del 2022, le scarpe con i tacchi alti hanno guadagnato quote di mercato, in particolare décolleté e sandali open toe. È cresciuta anche la vendita di borse da sera. Per gli uomini, gli acquisti di scarpe si sono concentrati su modelli business casual, modelli ibridi che mescolano i fondi comfort delle sneaker con silhouette più formali. Gli americani hanno, dunque, ravvisato l’esigenza di aggiornare il guardaroba rimasto fermo nel periodo della pandemia. Una volta aggiornato, è facile ipotizzare una riduzione degli acquisti, destinati a tornare a livelli normali o addirittura a contrarsi per via dell’inflazione che aumenterà il prezzo al consumo.

Ma il reshoring ci guadagna? 

La parità tra dollaro ed euro offre alla produzione europea maggiore competitività verso quella asiatica. In altre parole: oltre al lusso, anche il premium europeo potrebbe diventare più attraente. La condizione sine qua non è che il cambio delle valute si mantenga sui livelli attuali per almeno 6-12 mesi. Ma, anche se l’Europa potrebbe diventare conveniente, il costo non è l’unico fattore decisionale per affrontare un oneroso e complicato trasferimento della supply chain. In questo momento la strategia che stanno adottando sempre più marchi è quella di “produrre dove vendo” per contenere costi e rischi, valorizzare la sostenibilità e aumentare la velocità distributiva. Insomma, non bastano poche settimane di parità per avere un effetto immediato sulla rilocalizzazione delle produzioni in Europa. (mv)

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