Il 2021 non ha risolto la pandemia e ha sancito la ripresa sperata solo per i brand che si sono fatti trovare pronti. Oggi la fashion industry deve capire su quali basi affrontare un 2022 ancora vittima di incertezze e criticità le cui deadline sono inafferrabili. Ecco perché hanno bisogno di sapere quali sono le 3 cose che non devono sbagliare
In collaborazione con Altavia
Il mondo della moda aveva riposto grandi aspettative nei confronti del 2021. Sperava di viverlo prima di tutto come un periodo di rapida ripresa dopo i disastri del 2020. Quello che possiamo dire con certezza, però, è che l’anno che ci lasciamo alle spalle ha sancito un vero e proprio rilancio solo per pochi player. Quelli che si sono fatti trovare pronti e che hanno prodotto le innovazioni necessarie per adeguarsi ai cambiamenti radicali dei comportamenti che abbiamo avuto modo di raccontare. L’anno che è appena iniziato mostra ancora molti segni di incertezza che metteranno alla prova nuovamente la capacità strategica e di rapido adattamento al cambiamento dei brand. Alla necessaria riconversione verso lo sviluppo sostenibile, all’esigenza di adottare modelli circolari di produzione, all’accelerazione della trasformazione digitale si sono aggiunte, per esempio, quelle logistiche e quelle legate all’inflazione globale. Quindi: quali sono le 3 cose che la fashion industry non deve sbagliare nel 2022?
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Non dimenticare di connettere la prospettiva globale a quella locale
Gli asset digitali dei brand raccolgono attraverso il dialogo costante su diverse piattaforme una grande quantità di dati e informazioni. Servono, con gli opportuni strumenti, a conoscere in maniera centralizzata le caratteristiche principali delle audience e dei target. I negozi fisici costituiscono un presidio locale in cui verificare se la promessa di identità e valore di un brand riesce a coinvolgere nel modo desiderato il proprio pubblico. Il punto di contatto fisico deve dotarsi degli strumenti tecnologici per intrattenere, per raccontare e per raccogliere i dati in maniera analoga a quanto già avviene nei canali digitali. Il coinvolgimento costante del pubblico deve essere uno dei primi obiettivi dei brand che devono avere chiaro come garantirsi un presidio territoriale costante.
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Non trascurare il punto vendita fisico
Il negozio fisico nell’era della digitalizzazione è destinato a svolgere il ruolo fondamentale di simbolo ed espressione della profonda identità del marchio. Inoltre, è il luogo dove la promessa di valore incontra il cliente e lo coinvolge con esperienze inalienabili. Per esempio: il contatto diretto con il prodotto. Lo store deve essere inteso come uno spazio esperienziale, capace di emozionare e in cui le persone vogliano passare il proprio tempo. Trascurare l’importanza di una shopping experience appagante e coinvolgente significa perdere di vista un lato fondamentale del mondo della moda che è quello identitario. L’esperienza phygital vede nell’essere umano il principale protagonista.
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Non credere alla tradizionale leva promozionale
I bisogni delle persone non sono più legati al concetto di stagionalità delle collezioni e le loro scelte di acquisto lo saranno sempre meno. Anche la sfida verso una maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale contribuisce a mettere in discussione questo modello produttivo e creativo. Il desiderio di personalizzazione e di ascolto da parte dei brand rende sempre più difficile l’imposizione di un calendario prestabilito che indichi quando è il momento migliore per sostenere le vendite attraverso la leva promozionale. Il declino dei saldi è un sintomo della necessità di attivare un pensiero strategico e profondo sui trigger che possano trasformare il coinvolgimento attivo in conversione. Diventa imperativo concentrarsi sul valore della propria proposta, sul dialogo con il mercato e porre attenzione prioritaria alla qualità anche per i segmenti diversi da premium, entry to luxury e luxury.
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