Una filiera in cerca di un nuovo modello produttivo

“Sta cambiando il modello produttivo”. “Le nostre fabbriche vanno totalmente ripensate”. “C’è bisogno di un modello nuovo”. I fornitori non esistono più, esistono “interlocutori con cui sviluppare un progetto”. Benvenuti in una filiera che, inevitabilmente, deve riorganizzarsi, come già in molti stanno facendo. Ecco come

di Maria Vittoria Galeazzi

 

Flessibilità assoluta, rapidità, frammentazione, co-progettazione. La moda d’alta gamma sta cambiando il suo modello produttivo e la catena di fornitura deve riorganizzarsi. Negli ultimi anni si è trasformato il rapporto tra brand e fornitori: a chi fornisce materiali o esegue lavorazioni, lungo tutta la filiera, è affidata parte dello sviluppo prodotto. Le griffe del lusso fanno sempre più conto sulla competenza dei propri supplier, dai quali ricevono (su richiesta ovviamente) input stilistici, proposte innovative, soluzioni tecniche. Tutto questo su una base volumetrica sempre più ridotta e una segmentazione degli ordini che cresce in direzione opposta.

Flessibilità assoluta

“Sta cambiando il modello produttivo. Siamo abituati a lavorare per volumi, ma il rischio è che ci troveremo a lavorare solo per il valore – dichiara Daniele Gualdani, CEO di LEM, azienda attiva nei trattamenti per accessori metallici del lusso e dell’alta moda -. Le nostre fabbriche vanno totalmente ripensate. I volumi sono diminuiti e il lavoro è super frammentato. Tutti parlano di flessibilità, però, questa richiesta raggiunge a volte la follia disorganizzativa, l’anti-programmazione. C’è bisogno di un modello nuovo. La filiera moda deve organizzarsi in maniera strutturata, considerando il fornitore in un concetto industriale e non solo artigianale”.

Rapidità e innovazione

“I campioni li facciamo espresso come il caffè” si leggeva su un pannello esposto a Lineapelle 105 (Fiera Milano Rho 25 – 27 febbraio 2025) nello stand Giglioli, azienda specializzata in trapunte e ricami sia su tessuto che su pelle, per abbigliamento e pelletteria. “Siamo molto veloci nella realizzazione dei lavori”, spiega il titolare, Massimo Giglioli. “La frammentazione del lavoro c’è già da tanto, quello che è peggiorato nell’ultimo anno sono i tempi. Ci chiedono innovazione e ricerca, ma con i tempi di realizzazione di prodotti standard”. L’azienda ha, quindi, fatto della rapidità il suo tratto distintivo. “Le vendite nel lusso sono diminuite, per cui si cerca di mettere in negozio più modelli e più input per stimolare il consumatore”. Da qui ordinativi più piccoli, ma di cose sempre nuove. “Ma senza programmazione e senza tempo si diventa fast fashion”, puntualizza.

Co-progettazione

Anche per le concerie la testimonianza è quella di una crescente assistenza dei clienti nello sviluppo del prodotto. “Ci sono brand che ci danno uno sviluppo da fare secondo le indicazioni del loro ufficio stile – raccontano da Conceria Sciarada –-. Altri cercano da noi una guida e un’ispirazione”. L’azienda conciaria ha creato uno spazio ad hoc per affiancare le griffe nel lavoro creativo. “Oltre allo show-room, dove mostriamo la collezione in corso, abbiamo anche una zona con un archivio dove i clienti possono fare ricerca”. Anche Conceria Stefania conferma questo trend: “Non siamo più solo fornitori. I brand cercano nella conceria un interlocutore con cui sviluppare un progetto”.

Artigiani o industria?

Gli interlocutori ideali delle griffe del lusso sono aziende strutturate in grado di rispondere alle richieste con rapidità e flessibilità. Ai fornitori sono richiesti i requisiti di un’industria, ma con l’elasticità di una ditta artigianale. “Mediamente vengono a fare sviluppo e ricerca da noi e trovano subito l’idea per andare in prototipia. Oppure ci danno input da elaborare – racconta Paolo Squarcini di David Leather -. Noi facciamo tanta innovazione. Abbiamo una frammentazione del lavoro quasi da artigiani, ma con, potenzialmente, la riproducibilità di un’industria”.

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