Nell’immaginario del fashion system il femminile è importantissimo. Ma, malgrado ciò, le donne hanno ancora vita dura nelle imprese (grandi e piccole) che ne costituiscono il nerbo: lo dimostrano i report di Forbes con Statista e di PwC
di Roberto Procaccini
Sostenibilità ambientale, sociale, dei materiali, della distribuzione, degli approvvigionamenti, delle fonti energetiche, dei cicli produttivi. A sentire i grandi ragionamenti, la moda è avanguardia pura. Ma poi si scopre che, sebbene parli per lo più alle donne e di donne, non è un settore per donne: rimane in grave ritardo a proposito di politiche e pratiche per la gender equality. La faccenda ci ricorda un po’ l’aneddoto su Talete, il filosofo dell’antica Grecia rimproverato dalla serva dopo essere caduto nel pozzo che non aveva visto perché scrutava il cielo alla ricerca delle risposte alle domande della vita: “Vabbè che sei un grande pensatore, ma a che serve pensare in grande se non t’accorgi di che cosa hai davanti?”.
Non è un settore per donne
Sono tutto dire i risultati del ranking realizzato da Forbes e Statista sulle 400 migliori aziende al mondo per dipendenti donna. Nella top 10 non ci sono rappresentanti del fashion system. Allargando alle migliori 100, si trova H&M (fast fashion) all’undicesimo posto e poi, distanziati, i big dell’athleisure: Adidas (25mo), Nike (37mo) e Puma (80mo). E il lusso dov’è? Se si cercano i grandi nomi dell’alta moda, Chanel è alla 120esima posizione, Hermès alla 124esima e LVMH alla 288esima. Certo, c’entrano i criteri della classifica, spiega Fashion Magazine. Realizzata sulla base di circa 100.000 interviste a donne in 37 Paesi su argomenti come attenzione alle possibili discriminazioni e pari opportunità nei percorsi di carriera, l’indagine considera solo le multinazionali che operano in almeno due delle sei ripartizioni in cui i ricercatori hanno diviso il globo (Europa, Asia, Australia, Africa, America del Nord e del Centro Sud). Tradotto: molte ottime imprese della moda, che ancora non hanno tali dimensioni, non rientrano nel target. Ma non può non colpire che ad esempio Kering (la casa madre di Gucci, Bottega Veneta e Saint Laurent) è addirittura scivolata fuori dalla best 400.
In ripresa, in ritardo, comunque tardi
Passando dalla scala globale a quella nazionale, il quadro non migliora. PwC è partner de Il Foglio della Moda nella realizzazione dell’Osservatorio Donne e Moda, report sulle quote rosa nel fashion system italiano giunto nel 2024 alla quinta edizione. Ogni aggiornamento annuale registra un sensibile miglioramento rispetto a quello precedente, ma il quadro complessivo risulta ancora arretrato: la media di donne nei CdA, ad esempio, è di appena il 29,7%. La stessa PwC ha condotto con Global Fashion Agenda e con il supporto di Camera Nazionale della Moda Italiana lo studio Unpacking Pay Equity in Fashion: Italy.
Il primo studio, rivendicano dalle colonne di Pambianco News, sul tema delle differenze salariali tra uomini e donne nella filiera della moda. Be’, si apprende che circa il 50% delle grandi aziende e appena il 20% delle PMI ha gli strumenti per monitorare il gender pay gap al proprio interno. Ovvero: tutti gli altri (la metà dei big e l’80% dei medi e piccoli) neanche si pone il problema. Nel 45% delle imprese manifatturiere italiane, intanto, la maternità è ancora un fattore negativo per la possibilità di carriera. Malgrado i proclami la strada da fare, insomma, è ancora tanta.
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