Addio al revenge shopping: l’euforia del lusso è finita (per ora)

A settembre, fu il presidente di Richemont, Johann Rupert, a mettere tutti sull’avviso: il lusso è alle prese con una contrazione. Due mesi dopo, questo rallentamento è diventato una “normalizzazione” che, a quanto sembra, spaventa fino a un certo punto griffe e multinazionali, mentre terrorizza i loro fornitori che non hanno i mezzi per attendere (troppo) che il mercato si rimetta in moto

 

Quando, i primi giorni di settembre 2023, il presidente di Richemont, Johann Rupert, pronunciò la frase “We’ve seen the squeeze”, ovvero “abbiamo visto la contrazione” riferendosi ai consumi, non fu una doccia gelata. Piuttosto, avete presente quando uno studente ha la sensazione di aver sbagliato il compito in classe appena consegnato? Rupert è stato il professore che ha assegnato un voto pessimo al compito, confermando la sensazione dell’alunno. Rupert, con quella frase, lo certificò. Il mercato azionario reagì a quella dichiarazione mandando in fumo 25 miliardi di dollari in un solo giorno. Da quel momento, però, tutti hanno capito che l’euforia del revenge shopping post pandemia è finita e, soprattutto, che il lusso non è completamente immune dalle crisi. D’altronde lo scenario geopolitico ed economico è tra i peggiori che si possa immaginare.

Addio al revenge shopping

A distanza di oltre due mesi dal “We’ve seen the squeeze” di Rupert sono arrivate le trimestrali di griffe e multinazionali, insieme a dati, studi e proiezioni. Ora la domanda non è se c’è davvero un rallentamento: è quanto durerà. Al momento, la maggior parte degli analisti indica la seconda metà del prossimo anno come probabile momento di svolta. Altagamma, ad esempio, prevede che la categoria dei personal luxury goods (dove rientrano articoli di moda e accessori) chiuderà l’anno con una crescita del 4%. Mentre nel 2024 la pelletteria crescerà del 6,5% e la calzatura del 5%.

Attenti agli economisti

Ma Rachid Mohamed Rachid, presidente di Mayhoola, casa madre di Valentino, oltre a confermare le dichiarazioni di Rupert, diffida delle capacità degli economisti di capire cosa accadrà in futuro. “Sono stato al governo, ho lavorato a contatto con gli economisti. Sono perfettamente in grado di spiegarti cosa è successo in passato, ma non hanno idea di cosa accadrà in futuro. Per questo motivo, devi fare affidamento sul tuo istinto”.

Meglio parlare di normalizzazione

Col passare delle settimane, però, nelle dichiarazioni dei diretti interessati, il rallentamento del lusso è diventato una “normalizzazione della crescita”. Impensabile mantenere per anni un +20% nei ricavi, per cui era “normale” (appunto…) attendersi una diminuzione dei ritmi. In questo contesto è interessante vedere come da una parte ci sono i pompieri che cercano di spegnere l’incendio e rassicurare il mercato con dichiarazioni improntate sulla fiducia. Suonano come un “Sì, stiamo rallentando, ma stiamo comunque crescendo. Il futuro è roseo. Siate sereni”. Uno di questi è Toni Belloni, managing director di LVMH, che fa notare come il lusso stia crescendo senza soste da 20 anni. “Nel breve periodo – dice -, crescerà in media del 5-6%”. Meno pragmatico Renzo Rosso di OTB: “Il lusso non va mai in crisi. È un settore che consente di investire e di puntare sulla sostenibilità, che è ciò che chiede il pubblico”. Dall’altra parte però c’è il mercato, che sta reagendo intimorito. L’andamento dei titoli del lusso negli ultimi 6 mesi è stato negativo. Tod’s -17%, LVMH -20%, Moncler e Ferragamo -21%, Prada -25%, Kering -27%, Richemont -29%, Burberry -33%. Solo Cucinelli (-2%) e Hermés (-3%) hanno limitato i danni.

Perché ha rallentato

Un’analisi più approfondita ci porta a tre conclusioni. La prima: il rallentamento del lusso è stato causato soprattutto dall’aspirante acquirente. “I veri consumatori del lusso continuano a comprare. Forse un po’ meno, ma non scendono a compromessi sulla qualità di ciò che acquistano”, afferma Enrico Massaro di Barclays al Financial Times. La seconda: le maison, per logiche finanziarie, vogliono veder crescere i fatturati. Anche se ciò non comporta un proporzionale aumento dei volumi di vendita. Si concentrano sugli ultraricchi per arginare le perdite dei ricavi ma “prima o poi avranno bisogno di ampliare di nuovo la base dei consumatori” dice Federica Levato di Bain & Co. La terza: il lusso ha bisogno di alleggerire le scorte. Ha i magazzini pieni e sta rallentando vistosamente la produzione in attesa di smaltire le giacenze.

Fiducia poco convincente

In definitiva, l’ottimismo e la fiducia dei manager del lusso non convincono fino in fondo gli investitori. Ma non convincono nemmeno le imprese della filiera, che vedono il cassetto degli ordini vuoto e devono pensare a come gestire la situazione. E devono farlo ora, senza la possibilità di aspettare la seconda metà del prossimo anno. Senza, anche, la compiaciuta serenità di Bruno Pavlovsky, presidente delle attività moda di Chanel, che a WWD dice che la sua griffe dovrà “giocare con la situazione economica. Non vedo alcun motivo per cui Chanel non possa continuare a crescere. Forse ci sarà una crescita più bassa nel prossimo futuro, ma ne sono felice”. Beato lui.

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