La sindrome cinese che rischia di far saltare i nervi al lusso

Il governo di Pechino fa paura alle griffe. Alcune dichiarazioni del presidente Xi Jinping, ad agosto, scatenando uno tsunami in Borsa. Ma potrebbero rappresentare la premessa a qualcosa di molto più strutturale, partendo dalla regolamentazione comportamentale delle vendite in live streaming che potrebbe contribuire a far saltare i nervi al lusso 

“Se i cinesi starnutiscono, il settore del lusso si prende la polmonite”. La frase è di Luca Solca, analista del lusso in forza a Bernstein. Fotografa una realtà, oggettivamente, ben nota. Quasi lapalissiana, visto quanto la dipendenza delle griffe dai consumi di Pechino sia da lungo tempo sostanziale e, grazie alla pandemia, ben più che vitale. Una dipendenza che sorregge gran parte delle produzioni e dei risultati finanziari di gruppi e brand e che, nelle ultime settimane, è stata duramente messa alla prova. Anzi: lo è ancora, visto che la sindrome cinese che rischia di far saltare i nervi al lusso è quanto mai attuale. Perché alla sua base non ci sono problematiche esclusivamente commerciali. Le più complesse problematiche sono politiche.

La sindrome cinese, atto primo

Atto primo: agosto 2021. Precisamente: martedì 17. È il giorno in cui il presidente cinese Xi Jinping ha fatto saltare i nervi al lusso, facendo sì che – nel giro di poche ore – oltre 60 miliardi di euro di valorizzazione borsistica delle griffe siano andati in fumo. In altre parole: quasi il 10% del valore di mercato complessivo di LVMH, Hermès, Kering, Richemont e Burberry.

Come ha fatto. Semplice. Xi Jinping ha parlato di “prosperità comune per tutti” e ridistribuzione della ricchezza. Ancora: di come la Cina “regolerà i redditi eccessivamente alti e incoraggerà i gruppi e le imprese ad alto reddito a tornare di più nel contesto sociale”. I media che hanno sintetizzato il suo intervento, hanno rapidamente concluso che Pechino ha avviato una campagna contro la “ricchezza irragionevole”. Quindi: al lusso. Il contraccolpo in Borsa non si è fatto attendere. Secondo il Financial Times, i titoli LVMH, Hermès, Kering, Richemont e Burberry messi insieme hanno perso, per l’appunto, quasi il 10% del loro valore, ossia 61,7 miliardi di euro.

Forza e fragilità

Nonostante qualsiasi analista del lusso e manager dell’alta gamma rimanga convinto che in Cina “le opportunità siano molto maggiori dei rischi”, l’istantanea crisi di nervi agostana degli investitori ha rivelato quanto la forza d’acquisto della Cina equivalga in modo uguale e contrario alla fragilità del lusso che vuole invadere le case dei suoi consumatori. Lo dicono i numeri. Jefferies calcola che nel 2021 i consumi cinesi nel lusso rappresenteranno una quota del 45% del totale mondiale. Nel 2019 la percentuale era del 37%. La stessa banca di investimenti stima che in Cina ci siano circa 110.000 persone ultraricche e che ciascuna di loro spenda oltre 100.000 euro ogni anno in moda e gioielli, arrivando a rappresentare quasi un quarto delle vendite di lusso in Cina. Se questo pubblico percepisse di non dover più ostentare la propria ricchezza, il settore del lusso accuserebbe il colpo.

La sindrome cinese, atto secondo

Arriviamo, così, al secondo atto. Siamo ai primi di settembre e, pur rimanendo piuttosto sottotraccia, si diffonde la notizia che il ministero del Commercio di Pechino ha studiato alcune proposte per definire lo standard comportamentale dei live streamer. In altre parole: quelli che commercializzano prodotti su piattaforme di shopping online. Come ricorda l’agenzia di stampa italiana Adnkronos, “l’e-commerce in live streaming è un settore valutato oltre 30 miliardi di dollari in Cina. Influencer noti vendono prodotti e servizi durante dirette anche lunghissime. Si tratta di un mercato che coinvolge società come JD.com, Suning.com, piattaforme di video clip come Douyin e Kuaishou e app social come WeChat e Weibo. Nel 2020, il numero di utenti che hanno guardato gli spettacoli di e-commerce in live streaming ha raggiunto i 388 milioni e il numero di venditori su 23 piattaforme ha superato i 130 milioni, rendendolo appunto un business enorme. Il ministero, in pratica, chiede di regolare come gli influencer dovrebbero vestirsi o parlare davanti alla telecamera. E vuole imporre linee guida su come le piattaforme dovrebbero consentire ai consumatori di postare recensioni per gli host e i prodotti che commercializzano.

Regole, onestà, obiettività

Nello specifico, scrive il governo di Pechino, “quando l’host trasmette in diretta, il suo abbigliamento e la sua immagine non devono violare l’ordine pubblico o il buon costume. Il loro aspetto dovrebbe riflettere anche le caratteristiche dei prodotti o dei servizi che stanno commercializzando”. E si richiede che gli host “parlino mandarino durante lo streaming”. Se non vengono ritenuti “onesti e obiettivi su quello che vendono, possono essere puniti dalla piattaforma di e-commerce con limitazioni del loro traffico, la sospensione o anche la rimozione dell’account”. Per ora, a quanto pare, a essere colpiti sono stati, soprattutto, i settori tecnologici. Ma moda e lusso temono possa essere solo la premessa di una stretta più ampia. Se accadesse, più che una crisi di nervi si scatenerebbe il panico.

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