Gli archivi della moda sono cultura: perché non aprirli a tutti?

I brand aprono musei e archivi dove conservano la propria memoria fisica e creativa. Luoghi che si presentano come spazi di dialogo tra passato e futuro, dove si può studiare l’evoluzione del costume e capire che la moda è cultura. Ma troppo spesso restano quasi inaccessibili, fin troppo esclusivi. Perché non aprirli a tutti?

di Domenico Casoria

 

Sarebbe difficile tracciare una mappa esaustiva dei luoghi in cui gli archivi della moda conservano l’heritage dei brand. Sarebbe difficile, soprattutto perché parliamo di patrimoni così diversi che non riuscirebbero a stare sotto lo stesso tetto, inseriti nella stessa matrice. Come si custodisce, quindi, la memoria di un brand? Come si può fare in modo che la loro impattante valenza culturale e di costume sia riconosciuta? Infine: perché non aprirli a tutti?

La scelta di Gucci

Negli ultimi decenni ogni griffe e ogni brand di moda si è dotato di un archivio privato o ha deciso di aprire un proprio museo per permettere di accedere alla sua storia. Nel 2021 Gucci ha inaugurato la nuova sede dell’archivio a Firenze, grazie al ripristino voluto e ideato da Alessandro Michele. Situato a Palazzo Settimanni, è uno dei meglio organizzati, ed è stato concepito come uno spazio di dialogo tra passato e futuro. Un “sancta sanctorum” dell’azienda che reca le tracce di una storia che va avanti da più di cento anni. Cinque livelli di altezza, stanze a tema, e un viaggio che parte dalle porcellane e dagli oggetti per la casa, passa attraverso le collezioni di borse, piccola pelletteria, cinture vintage e si ferma alla gioielleria. Poi riparte verso la valigeria arrivando alle creazioni tessili – dai foulard agli abiti – e alle calzature. Non un luogo fermo nel tempo, ma un centro di studio per dialogare con il contemporaneo. Michele l’ha ideato insieme a Valerie Steele, direttrice e curatrice museale del Fashion Institute of Technology. L’unica pecca? Non è visitabile da tutti.

Dior, per esempio

Gucci ha optato anche per un museo, il Gucci Garden di Firenze, che oltre a una boutique e a spazi ricreativi, ospita anche alcune esposizioni. Lo stesso ha fatto Dior, che nel 2022 ha aperto Galerie Dior al numero 30 di Avenue Montaigne, dove Christian Dior presentò il New Look che avrebbe poi rivoluzionato il mondo della moda femminile. La Galerie è un museo aperto a tutti e dedicato alla storia della maison. 10 mila metri quadrati suddivisi in sale espositive che mostrano pezzi d’archivio, riproduzioni in miniatura di abiti che hanno reso iconico il brand, oggetti e bozzetti. Non solo un museo, quindi: un’esperienza immersiva nel mondo Dior.

Prada

Prada invece ha dedicato diversi spazi delle sedi di Milano e Valvigna agli archivi, che custodiscono circa 53.000 capi delle collezioni dei marchi del gruppo. Nell’archivio delle collezioni la suddivisione avviene in base alle categorie merceologiche, al marchio e alla stagione: maglieria, jersey, abiti donna e uomo, capi spalla, gonne, pantaloni, cravatte, accessori abbigliamento e intimo. L’archivio delle sfilate conserva i look Prada donna, Prada uomo e Miu Miu dal 1990. Un bagaglio che non si esaurisce con gli abiti. L’archivio delle calzature conta 67.000 modelli – tutti con un codice a barra che ne indica i dettagli – mentre quello relativo alla pelletteria conta oltre 60.000 pezzi tra cui borse e articoli da viaggio.

Perché non aprirli a tutti?

Sono solo pochi esempi. Significativi, però, di un patrimonio esistente notevole. La domanda di fondo resta, quindi, una. Se la moda si conserva nei musei e negli archivi, se rappresenta un evidente fattore culturale, non sarebbe meglio aprirli a tutti, questi archivi? Noi la risposta ce l’abbiamo: è win-win per chiunque.

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