Razionalità cromatica: alla scoperta del Natural Colour System

È “largamente riconosciuto come lo strumento più razionale e affidabile nel mondo della cromatologia”. Parliamo del sistema cromatico NCS – Natural Colour System, “non una semplice collezione di colori”, ma un metodo in cui “la selezione delle tonalità è frutto di un ragionamento”, come ci spiega l’esperto Gianluca Sgalippa

 

Il sistema cromatico Natural Colour System (alias NCS) è – come si legge online – “largamente riconosciuto come lo strumento più razionale e affidabile nel mondo della cromatologia”. In altre parole, approccia il mondo del colore come fosse una scienza che richiede, come si legge in questa intervista, un certo tipo “ragionamento” alla base di ogni scelta, accostamento, combinazione. A spiegarci nel dettaglio di cosa stiamo parlando è un esperto dell’argomento: Gianluca Sgalippa, docente presso alcune prestigiose scuole di design milanesi, saggista e critico del design.

In che termini il colore può essere considerato linguaggio e costruendo quali equilibri permette alla moda di esprimersi?

La creatività contemporanea, in vari settori, è caratterizzata da una forte trasversalità. Il mondo delle merci, specialmente quello della moda, include tutto, nonostante alcuni trend abbiano più spazio di altri. Anche il colore fa parte di questo immenso fenomeno. Oramai tutte le soluzioni cromatiche sono a disposizione dei designer in una situazione di equivalenza. Ogni brand, ogni collezione, ogni capo attingono al mondo del colore in modo libero, privo di inibizioni. Fra l’altro, tra gli anni ’70 e ’80, gli stilisti hanno sdoganato molte tinte associate a usi precisi, come ad esempio il nero nel lutto. E pensare che esso, nella sua assolutezza, sta alla base di molti brand d’avanguardia, come Yohji Yamamoto o Ann Demeulemeester. Il colore, in sintesi, è uno strumento oramai irrinunciabile e fertile nel settore della moda. Il suo uso è associato perfino a una forma di coraggio e di sperimentazione.

In cosa NCS – Natural Colour System si differenzia dagli altri sistemi cromatici?

Il Sistema Cromatico NCS non è una semplice collezione di colori. A differenza di ciò che accade per Pantone o RAL, che sono semplici raccolte, la selezione delle tonalità è frutto di un “ragionamento” che ovviamente avviene con l’ausilio degli strumenti cartacei originali. Per esempio, all’interno del piano di tinta, di forma triangolare, l’occhio valuta la trasformazione della tinta “piena” nel suo perdere la cromaticità e nel suo avvicinarsi al bianco o al nero.

NCS – Natural Colour System pone molta attenzione anche alle categorie dei colori neutri, ovvero dei grigi cromatici, presenti nella maggior parte delle “cose” che ci circondano. Questi sono grigi caratterizzati da una lieve componente cromatica, talvolta appena percettibile, che, però, fa la differenza. Oltre alla razionalità, l’altra caratteristica di fondo del sistema è, comunque, quella di essere universale, cioè applicabile a tutti i settori della manifattura, dalle idropitture fino, perché no, al mondo della pelle. La nappa di vitello o di agnello rappresenta un contesto di applicazione perfetto!

Si può considerare il colore come “un progetto”?

Preferirei dire che il colore è parte integrante di un progetto. Ecco, non deve essere più pensato come un’aggiunta posteriore o un elemento secondario, un “aggettivo”, ma un aspetto irrinunciabile di qualsiasi manufatto, anche quando si adotta una nuance neutra. È vero che nella riqualificazione di uno spazio la tinteggiatura può variare in base ai gusti, senza alterare la preesistenza edilizia, però il colore deve far parte di un pensiero generale, di una filosofia-guida. Per esempio, nelle collezioni di Valentino create da Pier Paolo Piccioli (direttore creativo della Maison fino allo scorso mese di marzo, ndr) l’uso e l’accostamento delle tinte unite faceva parte di una visione precisa e unitaria. Il suo lavoro ha posto l’accento sulle relazioni tra i colori, che, alla fine, è ciò che conferisce personalità distintiva a un progetto-moda.

Ritiene corretto che un colore possa diventare un trademark, come – per esempio – nel caso del rosso Louboutin?

Oggi i vari brand adottano stratagemmi per distinguersi l’uno dall’altro, per conquistare affannosamente fette di mercato. La scelta dei colori cosiddetti “iconici” fa parte di questo gioco. A mio avviso, l’individuazione e il lancio di un colore “brandizzato” costituisce più una boutade mediatica, al pari di tante altre operazioni di marketing e di immagine. Trovo che il rosso Valentino, inventato dal signor Garavani tanti anni fa, fosse un’operazione più schietta e genuina rispetto al recentissimo rosso Ancora di Gucci o all’improbabile verde di Bottega Veneta. Spesso la presenza di un colore corporate dà luogo ad atti forzosi, poiché all’interno di una tinta vengono calate forme, materiali e tipologie di prodotto che con quel colore non c’entrano nulla. Anziché cercare o ampliare l’identità, la limita.

Esiste, oggi, una sensibilità cromatica prevalente?

Direi proprio di no. Direi che la sfera estetica della contemporaneità è proprio il pluralismo, che coinvolge anche il mondo del colore. La meravigliosa palette di toni neutri che caratterizza da cinquant’anni le creazioni di Giorgio Armani corre in parallelo a soluzioni cromatiche di tipo diverso, dai colori brillanti alle tinte cupe. La tendenza è quella della coesistenza tra sensibilità diverse. E credo che questo sia un sintomo di libertà, purché ciò si eserciti nel rispetto dell’ambiente e delle identità.

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