In un mondo dove mille incertezze stravolgono le mappe del retail, quest’ultimo va all’inseguimento dei consumatori del lusso costruendo nuovi paradigmi che fanno del negozio fisico l’avamposto di un nuovo paradigma di coinvolgimento e fidelizzazione
Mai – forse – come nelle ultime stagioni, le strategie di investimento e la progettualità legata allo sviluppo del retail fashion sono state messe alla prova da fattori geopolitici. Il caso più evidente è rappresentato dalle conseguenze del conflitto tra Russia e Ucraina, che ha portato alla decisione di molti brand e catene di abbandonare Mosca. Ma anche le tensioni tra Cina, USA e Taiwan, rendono complicato prevedere un’espansione di spazi fisici in quest’ultima destinazione. Soprattutto senza un partner locale e con il rischio di non sapere in quanto tempo si ammortizzeranno gli investimenti fatti. Senza dimenticare la pervasività di sentiment non scritti e non detti che riescono, comunque, a influenzare le scelte di ciascun brand nella loro volontà di penetrare nuovi mercati o di approcciare in modo diverso quelli consolidati. Servono, quindi, nuove mappe.
La moda disegna nuove mappe
Tensioni che sono diventate terreno fertile per gli spostamenti nomadici dei consumatori Affluent più attenti ed esigenti. Per esempio, i russi che hanno conquistato nuove location, dove si spostano per sicurezza politica ed economica: in Medio Oriente, Sud Africa e USA. Oppure, in alcune città dell’Europa dell’Est. Per esempio: Budapest, Bucarest, Praga, Vienna. Per non dire della Turchia, con Istanbul. Un nomadismo che richiede alla griffe di interpretare e intercettare queste nuove rotte con estremo tempismo, pur avendo, comunque, ancora dei punti fermi su cui contare. Per esempio: gli Stati Uniti, che restano sotto i riflettori. Il motivo è semplice: sono un territorio di sperimentazione delle dinamiche multiculturali e geopolitiche e, di conseguenza, delle strategie.
Migrazioni retail all’inseguimento dei consumatori
I brands hanno unito l’utile al dilettevole, e sono diventati essi stessi nomadi di sé stessi. Può sembrare un semplice gioco di parole, ma identifica alla perfezione il modello di diffusione di brand che sono penetratI nelle località turistiche, di lavoro, di viaggio di tutte le fasce generazionali e negli spazi urbani delle community che vogliono raggiungere. Così, gli USA – come dice Jean-Marc Duplaix, CFO di Kering – “sono stati la locomotiva del settore negli ultimi trimestri. È un mercato che è cambiato, ma resta molto promettente, con un potenziale molto forte nel lungo termine”. Poi – continua -, “ci sono mercati che vanno particolarmente monitorati. Ne è già esploso uno, tutta l’area degli Emirati Arabi Uniti e della Turchia, che navigano sulla spesa dei russi, per non parlare di Cipro, destinazione strategica per i cittadini russi”.
Diversamente fisico
Ma, al di là della componente geografica, c’è un fattore che sta rivoluzionando il concetto di retail: la sua digitalizzazione. Fenomeno che sta trasformando completamente, anziché eclissare, il ruolo del negozio fisico.
Oggi, il vero valore di uno spazio commerciali high end non è più correlato esclusivamente alla sua capacità di incasso, prerogativa che rappresenta la matrice essenziale dell’e-commerce. Una boutique fisica va giudicata per il valore meno tangibile, ma critico, dell’impegno emotivo ed esperienziale che richiede e offre ai clienti. Ecco, allora, che da qui si arriva al concept del momento. Quello del Destination Retail.
Il retail come destinazione
Destination Retail è una nozione che descrive un punto vendita al dettaglio, uno store, una boutique come un luogo di arrivo: una destinazione, appunto. Come fosse la meta di un viaggio organizzato per arrivare fin lì. Un negozio del genere, quindi, farà molto di più che vendere semplicemente un prodotto, offrendo ai consumatori più di un motivo per entrare, visitare, acquistare, ma – soprattutto – restare. Scegliere una meta di Destination Retail significa, per un consumatore, investire non solo soldi, ma anche tempo, perché il tempo fa parte della proposta commerciale. Un rapporto PWC ha rivelato che, quando i marchi offrono un’esperienza del genere, i loro clienti hanno probabilità 7 volte maggiori di acquistare da loro che dai concorrenti. Un trend che si era intravisto prima della pandemia e che ora cresce in modo esponenziale.
I fattori in gioco
Una serie di elementi e concomitanze favorisce la crescita di un business model legato al retail come destinazione. C’entra – soprattutto – il piacere del viaggio unito alla possibilità di scoprire nuovi elementi culturali di altissimo livello. Quella del Destination Store è un’attività di vendita al dettaglio che i consumatori trovano attraente per motivi particolari, al punto, quindi, da essere disposti a fare un viaggio speciale esclusivamente allo scopo di fare acquisti in quel negozio, situato in quella particolare località. A partire dai grandi brands a quelli premium, le nuove mappe del retail fashion sono progettate alla luce di una ricerca creativa di location speciali, dove aprire uno store, a volte temporaneo, che permetta di costruire un racconto dove si incontrano gusto del luogo e stile del brand.
Il caso Dior, per esempio
Dior ha fatto un viaggio, nella prima parte del 2023, partendo dalla Corea del Sud, da Seoul. Scelta quasi ovvia: è risaputo che il consumatore coreano è il più esigente, ma anche il più influente sia nel sud est asiatico che negli USA. Poi è andato in India, a New Delhi, dove ha presentato un evento dedicato alla maestria dell’arte del ricamo indiano, avvenuto in uno dei luoghi storici della città. Un modo per avvicinarsi al sentiment del consumer locale che, secondo le regole del multiculturalismo attuale, considera molto alto il valore di un brand che valorizza la propria cultura. Infatti, l’evento, secondo gli esperti di Social Corporate Sustainability, ha avuto un impatto positivo sia per gli Affluent locali, sia per tutti i turisti indiani che viaggiano nelle località di shopping più rinomate al mondo.
Dubai, Parigi, Milano, ma anche i nuovi spotlight di Zurigo, Lago di Como, Capri, Cannes. Altra tappa, a maggio, Mexico City, la città che in questo momento gode del più alto interesse della società New Affluent latino-americana. Una metropoli che offre una cultura raffinata, eclettica e multiculturale. Nonché attività culturali d’arte e design, catene alberghiere esclusive, membership club come Soho House e opinion leader emergenti, ma già molto seguiti e influenti. Qui Dior ha organizzato, presso uno dei luoghi iconici per gli intellettuali – il Collegio de San Idelfonso – una sfilata ispirata a Frida Kahlo, che rappresenta anche il Woman Empowerment. Passo successivo, il Lago di Como, in Italia.
Contaminazione lifestyle
Se i retail diventa una destinazione, la sua contaminazione con progetti di lifestyle diventa naturale. A si apre a altri settori, coinvolgendo nel mondo fashion altre dimensioni. Come quella, quasi ovvia, gastronomica. Esempio: Louis Vuitton Dream, esplorazione dei sensi parigina, che accosta moda e cibo accanto alla sede storica della maison e si avvale della collaborazione del rinomato pasticcere Maxime Frédéric. Sia chiaro: le griffe non vanno ritenute pioniere di queste idee collaborative, ci sono arrivate pressoché costrette dal mercato. Ma grazie alla loro potenza di fuoco stanno, anche in questa dimensione, costruendo nuovi paradigmi.
In collaborazione con Orietta Pelizzari (Cross cultural fashion business advisor)