L’ultimo dramma globale e gli orizzonti che non disegna 

Mentre il mondo, la moda, il lusso e qualsiasi settore produttivo cercavano di uscire dell’emergenza pandemica (che, comunque, ancora morde), la guerra tra Russia e Ucraina ha scatenato l’ennesimo dramma globale. Le cui conseguenze sono incalcolabili e imprevedibili, per una serie di motivi che proviamo (per quanto possibile) a mettere in ordine in questo articolo 

 

Sembra un paradosso, quello del titolo. Ma è la tragica realtà dell’ultimo dramma globale che stiamo vivendo. Sia chiaro. Qualsiasi riflessione, considerazione, analisi che si può fare sulla guerra (perché tale è, al di là di qualsiasi distinguo lessicale attorno al quale si vuol discutere) che coinvolge Ucraina e Russia non può essere altro che incompleta e faticosa. Quella che segue, che tratta del fashion system e della sua filiera, non può essere da meno. Ma è necessaria. Perché se da oltre due anni ci ritroviamo in battaglia contro una pandemia che potevamo ritenere un “nemico comune”, ora è arrivata una guerra. Una guerra vera, che non solo ha spezzato i fragili orizzonti che ogni settore produttivo stava cercando di rimettere insieme. Ma impedisce di disegnarne di nuovi. E tutto ciò si presenta come molto problematico, molto rischioso e gonfio di mille paure.

L’orizzonte certo, per ora

È quello delle sanzioni alla Russia. Il presidente USA Joe Biden, venerdì 11 marzo, ha emesso un ordine esecutivo di blocco commerciale. Oggetto: l’import USA di prodotti russi e l’export di beni di fascia alta a Mosca. In scia, il 15 marzo, si è inserita l’Unione Europea. Nel suo elenco di prodotti bannati, formato da quasi 400 categorie, figurano anche borse, abbigliamento in pelle e pelliccia, cappotti, abiti, scarpe, camicie e altri articoli di abbigliamento. In totale il valore dell’export coinvolto dalla decisione di bannare Mosca ammonta a circa 25 miliardi di dollari l’anno, secondo i calcoli di Bloomberg basati sui dati dell’International Trade Center. Misure che fanno seguito a una delle prime forme di boicottaggio commerciale ai danni di Mosca varata dai molti brand, insegne, griffe. Cioè: chiudere i loro negozi in Russia. L’hanno fatto in tanti, con effetti sui loro bilanci più o meno differenziati. Incalcolabile, invece, per ora è l’impatto sociale a Mosca e dintorni di questa decisione, dato il numero (molto elevato) di persone che sono rimaste senza lavoro. Quindi senza reddito.

Gli orizzonti che non si possono disegnare

Anche se qualcuno, gioco forza ci prova perché deve provarci. Gli analisti del lusso e del fashion system stanno tentando di valutare gli effetti diretti e collaterali di quest’ultimo dramma globale che somma la guerra in Ucraina e la Russia isolata sul piano internazionale. Effetti che già si vedono. Per esempio: l’aumento dei costi, le sfide della catena di approvvigionamento e la minaccia della super-inflazione mettono in discussione le previsioni delle aziende del settore. Oltre all’esito del conflitto e all’auspicata e immediata tregua, molto dipenderà da quanto dureranno le sanzioni. La situazione è talmente fuori da ogni logica di prevedibilità che anche la Cina ha detto che la sua crescita economica sarà più lenta rispetto agli anni passati. Negli USA, invece, la maggiore volatilità del mercato azionario potrebbe intaccare la fiducia dei consumatori. E, fattore chiave per il lusso, a rischio potrebbe esserci l’agognato ritorno dello shopping turistico.

Piccoli numeri

Luca Solca di Bernstein valuta che, con sanzioni in vigore a tempo indeterminato, la domanda dei beni di lusso crescerà solo dell’1% nel 2022. Il boom di costi energetici mixato all’inflazione, in generale, frenerà la crescita del PIL globale. E l’alto di gamma potrebbe rimetterci circa 8 miliardi di euro, ovvero il 2-3% in meno del suo fatturato globale. Sempre che i contagi rientrino e non tornino a salire nel mondo.

Attenti al lusso

Non è una minaccia, ma una presa di coscienza. Se ne rende artefice l’Ufficio Studi della banca britannica Barclays. In pratica: la criticità dello scenario non sarà tale finché “il problema” resterà circoscritto al mercato russo. Perché in quel contesto “le griffe generano in media l’1-2% delle vendite, che diventa il 2-3% se si includono gli acquisti da parte dei russi all’estero. Il vero colpo al mercato, invece, verrebbe da un “cambio di sentiment” nel mercato del lusso in Europa e altrove. Piuttosto lapalissiano, ma tant’è: la realtà è proprio questa. Con la postilla, dice Barclays, che le griffe se ne fregherebbero in modo sostanziale anche dell’inflazione. Infatti, hanno già dimostrato che i loro clienti gli sono talmente fedeli (o assuefatti), specialmente in Cina, da ingoiare e digerire senza troppe storie politiche i periodici e costanti aumenti degli scontrini. Chiedere a Chanel, per conferma.

La contromossa parallela (di Mosca)

Per chiudere torniamo a Mosca. Qui a marzo, in una sorta di necessaria corsa alle scorte, il mercato della calzatura ha raggiunto picchi da record insieme ai relativi prezzi di vendita. Parliamo di “scarpa di consumo”, manifattura nazionale, non di lusso che dall’estero non arriva più. Affermazione non del tutto completa, quest’ultima, perché a Mosca starebbero pensando a una contromossa. In altre parole: incentivare il mercato parallelo e grigio, già piuttosto florido in zona. Nel meccanismo potrebbero avere un ruolo importante le triangolazioni con i negozi multimarca dei Paesi limitrofi, chiamati a rifornire i rivenditori moscoviti. C’è di più. Secondo The Fashion Law, il Cremlino starebbe valutando la possibilità di “eliminare le restrizioni sull’uso della proprietà intellettuale per alcuni beni”. E, anche, di depenalizzare il reato di violazione del marchio per beni la cui circolazione è limitata dalle sanzioni. Porte aperte, dunque, a prodotti contraffatti e/o di dubbia provenienza con Mosca che potrebbe ignorare eventuali battaglie legali dei marchi occidentali. I quali, a loro volta, potrebbero astenersi dall’avviarle se vorranno rientrare nel mercato russo un domani. Ma anche questo, a fronte del dramma globale che stiamo vivendo, è un orizzonte impossibile, oggi, da disegnare.

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