Sempre più critico e costoso: il rompicapo della logistica

Due anni di Covid hanno sconvolto la logistica per la supply chain della fashion & luxury. La crisi bellica in Ucraina, scoppiata a fine febbraio 2022, l’ha ulteriormente trasformata in un preoccupante e critico rompicapo che difficilmente, una volta ricomposto, sarà simile a quando il mondo era del tutto diverso. Ecco perché

 

Sfogliando i libri per bambini, spesso troviamo giochi ed esercizi in cui bisogna correlare, collegandoli a matita, una figura all’altra, in modo consequenziale. Ne nascono percorsi tortuosi, che si intersecano l’uno con l’altro, tutti errati tranne uno. Quello giusto, ovviamente. Lo stesso gioco o, meglio, lo stesso faticoso esercizio da due anni sta impegnando i manager aziendali che si occupano di supply chain. Scoprire e scegliere la rotta più veloce e più economica per far arrivare alla Destinazione A le merci prodotte nel Paese B. Un processo che Covid ha trasformato in un rompicapo complessissimo e costosissimo. E che dal 24 febbraio 2022, giorno dello scoppio del conflitto in Ucraina, ha raggiunto ulteriori picchi di criticità. Cosa sta succedendo, dunque, al rompicapo della logistica internazionale della fashion & luxury industry?

Il rompicapo della logistica internazionale

Alla luce di queste drammatiche emergenze, la filiera si è vista costretta a trovare ulteriori soluzioni. Nel 2021, con la coagulazione dei trasporti marittimi e aerei dall’Asia verso l’Europa causa Covid, aziende e brand hanno varato un Piano B, rivolgendosi al trasporto ferroviario. Giusto per dare un ordine di grandezza, come si legge su Brinknews, gli operatori ferroviari, l’anno scorso, hanno gestito più di 1.200 treni merci al mese tra Cina e Europa, trasportando quasi 1,5 milioni di container. Attenzione: molte di queste rotte commerciali prevedevano il transito in RussiaUcraina e Bielorussia. Percorsi che, oggi, sono impraticabili. Mentre i trasporti aerei, dovendo le compagnie aggirare il cielo russo, sono diventati notevolmente più costosi.

Alla ricerca di un Piano C

Serve un piano C. E serve in fretta, perché il trasporto marittimo containerizzato è ancora afflitto da congestione portuale, ritardi di spedizione e carenza di container. Risultato: forti ritardi e tariffe record per qualsiasi trasporto. Ancora peggio va a materie prime e generi alimentari per le quali Russia e Ucraina non erano solo vie di transito, ma fonte produttiva e, quindi, di export. Come se non bastasse, in Cina e Vietnam si stanno verificando focolai di contagi che potrebbero ulteriormente complicare il rompicapo della logistica internazionale.

Il prezzo dell’interconnessione assoluta

Tutto ciò ha messo in luce la grande debolezza di un sistema che (pareva) perfetto. Davanti a crisi di questa drammaticità, infatti, le profonde interdipendenze e le vulnerabilità intrinseche nelle catene di approvvigionamento globalizzate si trasformando (quasi) in vizi. Elementi che inducono le aziende di tutto il mondo a ripensare le strategie per l’approvvigionamento. Si va, dunque, verso soluzioni di reshoring o nearshoring e verso il Just-in-Case anziché il Just-in-Time.

Riconfigurare la supply chain

La riconfigurazione della supply chain, però, richiede tempo, costi e non deve interferire, né tanto meno frenare, l’attività. Tutto va riconsiderato in considerazione dei luoghi di destinazione delle materie prime, dei fornitori e con la consapevolezza che l’industria, da sola, non sarà in grado di affrontare molte delle sfide attuali. I governi dovranno essere coinvolti con investimenti nei porti, aeroporti e altre infrastrutture, proprio come sta avvenendo negli USA. Risultato finale: nel 2025 la supply chain di molte aziende sarà diversa da quella attuale. Significativamente diversa. (mas.vi.)

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