Il caso di Boohoo: l’ennesimo lato molto oscuro del fast fashion

Alcune inchieste inchiodano Boohoo, il retailer inglese del fast fashion, che subisce pesanti accuse (e “sostanzialmente vere”) di fomentare pratiche di “schiavitù moderna”, strozzando i fornitori. Ma non è il solo a vivere e fatturare in quel lato oscuro del fast fashion che tutti dicono di disdegnare, salvo poi, a partire dai più giovani, esserne affezionati clienti

 

Nel 2020, un’inchiesta del Sunday Times ha rivelato che in una fabbrica di abbigliamento di Leicester gli operai prendevano un salario di 3,50 sterline l’ora. Mentre la legge inglese prevede che il minimo, per i dipendenti over 25, sia di 10,42 sterline. Questa fabbrica riforniva Boohoo, marchio/retailer del fast fashion con 18 milioni di clienti e un fatturato di 1,8 miliardi di sterline. Dopo questa indagine è stato accusato di “schiavitù moderna”. Boohoo ha incaricato un legale per esercitare una  particolare difesa. In altre parole, gli hanno chiesto di verificare le accuse facendo un’attenta analisi della supply chain. Alison Levitt ha concluso il suo lavoro affermando che le accuse erano “sostanzialmente vere“.

Il caso di Boohoo

Alcuni rivenditori hanno chiuso i rapporti con Boohoo la cui valorizzazione ha perso miliardi di sterline. Ulteriore conseguenza: vari investitori della società hanno chiesto i danni e stanno negoziando con il board di Boohoo prima di intraprendere vie legali. A seguito dello scandalo, con lo scopo di migliorare le condizioni della propria catena di fornitura, Boohoo ha stanziato 10 milioni di sterline. Ha lanciato il programma Agenda for Change e, all’interno di questo programma, ha aperto a Leicester una fabbrica di proprietà chiamata Thurmaston Lane. Fabbrica “gioiello”, progettata per mettere in pratica le sue nuove procedure etiche.

L’ennesimo lato molto oscuro del fast fashion

A distanza di 3 anni, le promesse fatte da Boohoo sono cadute nel nulla o quasi. Insomma: molte chiacchiere e pochi fatti. La giornalista della BBC Emma Lowther è riuscita a lavorare per 10 settimane sotto copertura presso il quartier generale dell’azienda, a Manchester, come assistente amministrativa. Una volta licenziata, ha raccontato tutto ciò che aveva visto con i suoi occhi e ascoltato con le proprie orecchie. In un solo giorno, alla giornalista in incognito è stato chiesto di effettuare una riduzione del prezzo del 5% su più di 400 ordini già concordati (alcuni in pronta consegna). L’azienda si è giustificata affermando che queste economie di scala sono state trasferite ai clienti, perché i prezzi dei prodotti non sono aumentati nonostante l’inflazione. Questo per dire che lavora con la maggior parte dei suoi fornitori da molti anni. E una simile cosa “non sarebbe possibile se i terzisti lavorassero sotto costo”, dice Boohoo.

Il dubbio

Quindi: come fanno questi fornitori a sopravvivere? La domanda insinua più di un dubbio legato alla retribuzione dei dipendenti. Oltre al prezzo, Boohoo esercita pressioni anche sui tempi di consegna. Nelle 10 settimane di lavoro della giornalista, i tempi di consegna medi, sostanzialmente imposti da Boohoo, sono passati da 10 a 6 settimane dall’ordine. A partire dalla seconda settimana di ritardo della consegna, il brand applica una penale sotto forma di sconto del 5% per ogni settimana di ritardo. Questa pressione quali conseguenze genera? Con una telecamera nascosta presso uno dei fornitori di Boohoo, MM Leicester Clothing, la BBC ha mostrato i lavoratori che si rivolgevano ai manager chiedendo di rispettare i turni di lavoro.. Ma la risposta è sempre stata: “Nessuno se ne può andare prima delle otto, o delle 10, o più tardi”. E la fabbrica gioiello Thurmaston Lane? Ebbene: produce solo l’1% del totale di Boohoo. Centinaia di ordini arrivati a Thurmaston Lane, infatti, erano dirottati in altri stabilimenti di Leicester o in Marocco.

In brutta compagnia

Un’inchiesta realizzata nel 2022 e trasmessa dall’emittente statunitense Channel 4 ha mostrato come i lavoratori di 2 delle 700 fabbriche di Shein in Cina erano costretti a 17 ore di lavoro al giorno in pessime condizioni igieniche. Avevano un solo giorno libero al mese. Dovevano produrre 500 capi al giorno e la loro paga era di 4 centesimi a capo. Venti dollari per 17 ore di lavoro. Boohoo, quindi, può drammaticamente dire di essere in cattivissima compagnia. Fatto salvo che, poi, di sostenibilità e schiavitù moderna si continuerà a discutere, mentre una buona fetta di consumatori, a partire dai più giovani, non smetterà di comprare fast fashion.

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