E se i brand sulla sostenibilità stessero sbagliando tutto?

A porsi la domanda è Transformers Foundation, piattaforma che rappresenta la filiera di fornitura del denim che in un recente studio arriva a conclusioni molto perentorie. Tipo questa: “Non solo ci si aspetta che i fornitori facciano la maggior parte del lavoro di decarbonizzazione, ma anche che lo paghino. Pure quando non sono possibili ritorni economici”. E se i brand sulla sostenibilità stessero sbagliando tutto?

 

Oltre 400 aziende dell’abbigliamento, della calzatura, del tessile e del lusso si sono poste precisi e ambiziosi obiettivi di sostenibilità per poter rispettare l’Accordo di Parigi. Così, se il dibattito mediatico si è – soprattutto agli inizi – quasi sempre soffermato sulle materie prime, finendo spesso in un’area paludosa, in seguito ha spostato il suo sguardo, mettendo in risalto come sia il processo produttivo il fattore che più di tutti incide sull’ambiente. Conseguenza: brand e griffe hanno scatenato la caccia alla conoscenza di tutto quel accade lungo la loro supply chain. Per farlo, impongono ai fornitori capitolati da sottoscrivere, audit da compiere, miglioramenti continui e notevoli investimenti per soddisfare tutte queste richieste. Ma secondo uno studio firmato Transformers Foundation (piattaforma che rappresenta la filiera di fornitura del denim), i brand stanno sbagliando tutto.

E se stessero sbagliando tutto?

Secondo Transformer Foundation questa è una strategia doomed to fail. “La responsabilità dell’azione per il clima nella moda non è condivisa. Questo approccio non è solo ingiusto, ma anche impraticabile. È infattibile“, dichiara a Business of Fashion Kim van der Weerd, direttore dell’intelligence di Transformers Foundation. Le considerazioni finali dello studio sono insolitamente schiette quando limpide e impietose. Per anni i marchi di moda hanno tratto enormi vantaggi dalla situazione. Viceversa, i loro fornitori hanno spesso taciuto le loro preoccupazioni per evitare di andare in conflitto con i clienti: per timore di perderli.

Una strategia destinata a fallire

Lo studio di Transfomer Foundation si basa su interviste con produttori di denim. Ma, nonostante questo suo approccio settoriale, fa emergere problemi e sfide generalizzabili all’intero settore della moda. Soprattutto per una ragione: dall’abbigliamento alla pelletteria, le imprese della filiera hanno una scarsa marginalità. Per cui non hanno risorse da investire in pratiche commerciali più responsabili. Questo avviene anche in Italia, ma in misura ancora maggiore nei Paesi, per lo più asiatici, dove si concentra la produzione di moda. Sfogliando lo studio intitolato Towards A Collective Approach: Rethinking Fashion’s Doomed Climate Strategy, i fornitori affermano che i marchi non sembrano essere disposti a pagare un premio per contribuire al raggiungimento degli obiettivi da parte dei loro terzisti. “Non solo ci si aspetta che i fornitori facciano la maggior parte del lavoro di decarbonizzazione, ma anche che lo paghino. Pure quando non sono possibili ritorni economici”.

Dall’alto verso il basso

“Questa strategia d’azione per il clima è frutto di un approccio alla sostenibilità dall’alto verso il basso che dura da decenni e che non è in grado di affrontare i problemi attuali”. Senza considerare che, se alcuni miglioramenti sono “piuttosto facili da conseguire”, altri “sono molto complicati e onerosi”. Transfomer Foundation, così, esorta a considerare gli investimenti necessari per la transizione green come una garanzia per il futuro, senza badare al loro rendimento. “L’azione per il clima deve essere una nostra responsabilità – afferma van der Weerd -. Deve essere un nostro problema e non un onere solo per i fornitori. Ciò include la condivisione delle risorse finanziarie, ma anche di altri tipi di risorse. Nessun obiettivo è realizzabile senza un’azione collettiva”.

Come attivare “un’azione collettiva”?

Secondo lo studio, il primo passo verso l’azione collettiva consiste nel separare la domanda “chi fa cosa” da quella “chi paga”. In altre parole, il fatto che un’azienda debba ridurre drasticamente il proprio impatto ambientale per raggiungere gli obiettivi climatici prefissati non significa automaticamente che debba pagarne l’intero prezzo. Questi due elementi del puzzle devono essere affrontati separatamente. Altrimenti la transizione green è destinata a fallire.

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