Il fallimento di Renewcell: cosa succede ai materiali next gen?

Renewcell è stata una delle prime imprese a offrire al settore moda il Circulose, un materiale ottenuto dal riciclo del cotone. Pareva un progetto blindato, solidissimo, di successo. Invece, è andato al tappeto come altri nati per esplorare la nuova frontiera dei materiali next gen che, quando nascono, generano hype prorompenti. Poi, però, spesso scoppiano. Proviamo a capire perché

 

“È un giorno triste per l’ambiente, per i nostri dipendenti, i nostri azionisti: è una dichiarazione della mancanza di leadership e della necessità di cambiamento nell’industria della moda”. Sono le parole pronunciate da Micheal Berg al capezzale di Renewcell, l’azienda svedese che presiedeva e che il 25 febbraio scorso ha presentato domanda di fallimento al tribunale di Stoccolma. Un’accusa nemmeno tanto velata al sistema moda, accusato di non voler cambiare paradigma perché non sarebbe disposto a perdere nemmeno un centesimo dei suoi profitti.

Il fallimento di Renewcell

Il tribunale svedese ha approvata la domanda di fallimento due giorni dopo, il 27 febbraio. Renewcell, come si legge sul suo portale, “non è stata in grado di ottenere finanziamenti sufficienti per completare la revisione strategica, annunciata il 20 novembre 2023, con risultati soddisfacenti”. Quindici giorni dopo, il 15 marzo, ha “annunciato la nuova scadenza per la ricezione delle offerte di acquisto”. È il 28 marzo, “al fine di soddisfare le offerte di diverse società. Il trustee prevede che un nuovo proprietario sarà assicurato all’inizio di aprile e sarà annunciato poco dopo”. Nel frattempo, però, c’è molto da riflettere sul suo caso e su come permette di analizzare quel che sta accadendo ai cosiddetti materiali next gen.

Storia di un fallimento

Renewcell è stata una delle prime imprese a offrire al settore moda il Circulose, un materiale ottenuto dal riciclo del cotone. L’azienda era arrivata al punto che molte startup dei materiali next gen sognano di raggiungere e sembrava destinata a un solido e sostanziale successo. Aveva tutto. Disponeva di un prodotto commerciale e aumentava costantemente la capacità produttiva. Aveva H&M come maggiore azionista e tra i suoi clienti figuravano nomi come Levi’s e Ganni. Aveva costruito una rete formata da 151 fornitori che sapevano trattare il materiale e aveva alle spalle un pool di finanziatori, tra cui l’incubatore Girindus e BNP Paribas.

Per l’intero settore dei materiali “di prossima generazione” Renewcell era un esempio: la stella polare da seguire. Ma qualcosa non è andato per il verso giusto. A dicembre 2023, nel tentativo di salvare Renewcell, H&M aveva siglato un contratto di acquisto per 7.000 tonnellate di Circulose nel 2024 e 11.000 tonnellate nel 2025. Il CEO di Renewcell Magnus Håkansson aveva, però, riferito a Sourcing Journal che, per raggiungere il pareggio, l’azienda avrebbe dovuto vendere tra le 80.000 e le 120.000 tonnellate di fibra l’anno. Tante. Troppe.

I limiti (non solo) di Circulose

È chiaro che il fallimento di Renewcell rappresenta un duro colpo per la commercializzazione dei materiali next gen. Anche perché arriva 6 mesi dopo il ko di Mylo. Un limite di Renewcell è che riciclava solo cotone al 100%. Ma non è certo questo il motivo principale del suo fallimento, che va ricercato in sfide strutturali più ampie. Per esempio, il raggiungimento della scalabilità commerciale, già di per sé difficile da raggiungere, è solo il punto di partenza di un altro percorso ancora più complicato che vede gli investitori fare pressione per incassare utili.

Molto probabilmente, però, l’ostacolo più alto da superare è un altro ancora. Circulose era più costoso dei materiali tradizionali di cui diceva di essere alternativo. Nella catena del valore della moda nessuno sembra disposto a pagare qualcosa in più per ottenere un prodotto sulla carta più sostenibile. Né i consumatori (disorientati dagli scandali di greenwashing), né tanto meno i marchi, che in un mercato spietato prestano attenzione anche a un solo centesimo di differenza e dove costi ed efficienza sono sempre sotto stretto controllo.

La priorità dei rendimenti finanziari

“I marchi continueranno a scegliere l’opzione migliore per i loro profitti” taglia corto Ken Pucker, che insegna Economia Sostenibile alla Fletcher School della Tufts University. A Sourcing Journal, Pucker afferma: “Gli innovatori coraggiosi come Renewcell sono ostacolati da un sistema che dà priorità ai rendimenti finanziari piuttosto che al benessere planetario. Fino a quando le autorità di regolamentazione non faranno pagare alle aziende i risultati sociali e ambientali negativi, la maggior parte delle nuove soluzioni rimarrà su scala ridotta e, quindi, svantaggiata”.

Un fallimento collettivo

La piattaforma per la sostenibilità della moda Fashion for Good ha affidato a LinkedIn il proprio commento. “Questo non è solo un fallimento per Renewcell. È un fallimento collettivo guidato dalla mancanza di urgenza e dal disallineamento in un sistema complesso tra marchi, partner della catena di fornitura e investitori”. La stessa piattaforma teme che i casi Mylo e Renewcell rallentino gli investimenti e tolgano fame ai marchi nell’utilizzo di materiali next gen.

A sua volta Nicole Rycroft, fondatrice e direttrice esecutiva della pluripremiata no-profit ambientale canadese Canopy, ritiene che “senza impegni coraggiosi da parte di tutte le parti interessate, compresi i produttori di fibre, i marchi globali e i governi, non saremo in grado di implementare soluzioni sostenibili”. Alla fine, quindi, si torna sempre allo stesso punto: chi paga il cambiamento nella moda? Tra l’altro, chi vuole farlo mentre il super fast fashion imperversa?

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