Troppo facile dire “io sono sostenibile”. O, ancora meglio, sostenere: “Io sono sostenibile più di (inserire un materiale, un prodotto, un settore industriale a caso). Nell’ossessiva rincorsa alla virtù green, non c’è soluzione che prima o poi non scivoli su una buccia di banana. L’ultima, per esempio, è quella relativa alla moda del noleggio di abiti, borse, scarpe
Sembra paradossale.
È paradossale.
Ma fino a un certo punto.
Non passa giorno che la cronaca fashion non proponga idee, suggestioni, soluzioni green e che spuntino brand, retailer, produttori di materiali che sbandierino la loro virtù sostenibile spesso comparandola con particolare aggressività con quella dei competitor diretti (la pelle, in ciò, veste proverbialmente i panni della vittima sacrificale).
E, allo stesso modo, non passa giorno che, prima o poi tutti trovino qualcuno che metta in discussione la loro missione sostenibile, innescando la consueta spirale di scetticismo. È successo e sta succedendo al second hand, nel quale le griffe del lusso hanno iniziato a investire in modo strutturale. Ora, sulla graticola, finisce anche la moda del noleggio.
La moda del noleggio
Solo per fare qualche esempio e circostanziare il perimetro del noleggio, tra i pionieri del noleggio vanno citati i cinesi di YCloset e i newyorchesi di Rent To Runway (2009), seguiti da Le Tote di San Francisco e Girl Meets Dress di Londra. Significativo il caso italiano di Drees You Can, attivo dal 2014, che ha vinto nel 2019 il Premio dei Premi indetto dal Governo come “campione dell’innovazione per l’Italia del cambiamento” nella categoria Service Design nei Servizi. Altri esempi, più legati a esperienze di brand: a Parigi, da Bon Marché Rive Gauche, nell’aprile 2019, fu possibile noleggiare abiti da cerimonia e set sartoriali Balmain, a partire da 220 euro. E, sempre in Francia, il brand di pelletteria Louvreuse lanciò un servizio di noleggio che permetteva, con 30 euro, di affittare per due giorni le sue borse più cool (in vendita a 370 euro).
La buccia di banana
Tutte esperienze che nascono da precise velleità green. Velleità che lo studio pubblicato dalla rivista scientifica finlandese Environmental Research Letters spazza via giungendo a una provocazione dirompente: “Noleggiare i vestiti è meno ecologico che buttarli via”. L’indagine ha valutato l’impatto ambientale di cinque diversi modi di possedere e smaltire gli indumenti, compreso il noleggio, la rivendita e il riciclo. E proprio il noleggio ha registrato il più alto impatto climatico. Cosa che ne mette in discussione il valore green.
Il costo del noleggiare i vestiti
Il maggior costo ambientale dell’attività di noleggio deriverebbe dalle consegne, quindi dai trasporti, e dall’imballaggio. Anche il lavaggio a secco è dannoso per l’ambiente. Lo studio sostiene che molti servizi di noleggio abusano del termine “economia circolare”, facendone una forma di greenwashing. “Nessun dirigente vuole rivedere la propria attività – spiega Dana Thomas, autrice di Fashionopolis: The Price of Fast Fashion and the Future of Clothes, a The Guardian –. Eppure, il business per diventare green non avrebbe bisogno solo di modifiche, bensì di un’intera revisione. Solo la legge risolverà il problema. Nessuna azienda, in nessun settore, si offrirà volontaria per sostenere una perdita per il bene del pianeta. Lo farà solo quando glielo imporrà un regolamento”.
I possibili interventi
Lo studio suggerisce che miglioramenti nella logistica potrebbero portare, dal punto di vista dell’impatto ambientale, il noleggio allo stesso livello della rivendita. Il modello più sostenibile di consumo di prodotti fashion sarebbe racchiuso nella formula “acquistare meno per indossare più a lungo”. “Vuoi essere sostenibile? Compra meno, compra meglio”, sintetizza Thomas. Secondo una ricerca Ellen MacArthur Foundation negli ultimi 15 anni il numero medio di volte in cui si indossano gli indumenti è diminuito del 36%. La produzione, intanto, è più che raddoppiata.
Postilla
Per dovere di cronaca, va detto che lo studio ha attirato qualche critica per alcuni criteri con cui è stato condotto. Per esempio, prevede che un vestito sia noleggiato 200 volte. Ipotizza poi che i clienti percorrano due chilometri ciascuno per ritirare l’articolo, che invece viene spesso spedito via posta. Ma ha comunque aperto uno spunto di riflessione sulla sostenibilità di attività definite come l’alternativa sostenibile e frugale al fast fashion.
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