Tutta la nebbia che inghiotte la comunicazione green

Una ricerca IFM-Première Vision delinea uno scenario molto preoccupante legato alla comunicazione green. Riguarda l’ignoranza dei consumatori e il modo in cui tanti, troppi brand giocano in modo non chiaro con le informazioni che dovrebbero combatterla

 

Brancolano nel buio i consumatori che vanno a caccia di informazioni per orientarsi nell’intricato mondo della moda sostenibile e responsabile. Non le trovano e, se le trovano, sono spesso fuorvianti, confuse, incomplete. Così, sono costretti ad affidarsi alla percezione, all’emozione, ai retaggi culturali, a messaggi non corretti. È, questo, uno degli aspetti salienti dello studio condotto ad aprile 2022 da IFM (Institut Français de la Mode) e Première Vision e basato su 6.000 interviste a consumatori in Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti. Risultato: l’emersione di una nebbia che inghiotte la comunicazione green. Spesso (purtroppo) volontariamente.

La nebbia che inghiotte la comunicazione green

9 persone su 10 coinvolte nel sondaggio dichiarano di voler cambiare il modo in cui acquistano vestiti e accessori, ma sono disorientate perché non trovano le informazioni che cercano. Nel sondaggio, infatti, si chiede quali ostacoli esistano all’acquisto di un prodotto responsabile. La risposta più comune non è il prezzo (solo in Germania lo è), ma la mancanza di informazioni.

Cosa c’è che non va

Il tutto è dimostrato dalle risposte a questa domanda: quali sono i marchi eco-responsabili? Ecco che il “consumatore medio” nomina le più note multinazionali del settore moda, in particolare produttori di attrezzature sportive e catene di fast fashion. Al grande pubblico vengono in mente i nomi più importanti del settore, senza approfondire gli sforzi reali o presunti di ciascuno di essi. È il frutto di una martellante campagna di comunicazione basata sul loro impegno (reale o effimero) verso la moda sostenibile.

Cotone e pelle

Sul podio dei materiali più sostenibili, secondo lo studio, c’è il cotone perché trasmette una forte carica simbolica legata all’infanzia e alla morbidezza. Per cui i consumatori si dimostrano particolarmente indulgenti verso i suoi metodi di produzione. “Il cotone viene giudicato piuttosto positivamente, mentre sappiamo che ha un impatto significativo legato all’acqua e ai pesticidi”, osserva Gilles Lasbordes, direttore generale di Première Vision. Che le risposte degli intervistati dipendano dalla percezione culturale piuttosto che da una valutazione oggettiva del vero impatto dei materiali emerge chiaramente quando si parla di pelle.

Retaggi culturali

Nonostante sia storicamente il primo esempio di circolarità in quanto riutilizza lo scarto dell’industria alimentare, è tra i cinque materiali più criticati. Perché? Solo una persona su due sa che la pelle proviene da animali destinati al consumo di carne. Poi: non tutti conoscono la differenza tra pelle e pelliccia. Ancora: gli intervistati citano “la sofferenza degli animali”. E, infine, c’è l’ascesa del movimento vegano che rifiuta prodotti di origine animale. Una scelta, quest’ultima, che vede l’Italia in testa agli altri 4 Paesi con il 35,1% delle risposte.

Idee corrette

Sui materiali sintetici, il pubblico si dimostra piuttosto informato. Tra i materiali citati come dannosi per l’ambiente, infatti, figurano ai primi posti il poliestere, l’acrilico e la poliammide. I materiali con cui è stato prodotto il capo o l’accessorio sono criteri spesso determinanti per la scelta del consumatore. Il 38,6% degli italiani, la percentuale più alta, ha citato i materiali come motivazione principale per l’acquisto di abbigliamento eco-responsabile. Ma accanto a questo, si sta facendo strada un’altra convinzione: il made in. Se un prodotto è realizzato nello stesso Paese in cui viene venduto è ritenuto più sostenibile rispetto a un altro proveniente dall’estero. Motivi: la CO2 rilasciata durante il trasporto, il rispetto delle normative nazionali in termini di eticità, la sicurezza. Fattori che danno affidabilità anche sul piano della responsabilità sociale.

La morale dello studio

Quando si acquistano vestiti, il prezzo rimane il primo criterio di acquisto in Francia, Regno Unito e Stati Uniti. La qualità del prodotto lo è invece in Italia e Germania. In tutti i Paesi, il comfort è al terzo posto, prima del design e, addirittura, del marchio. Ma lo studio IFM ci dice soprattutto che la voglia di moda sostenibile è un trend in crescita, ma spesso non supportato dal sistema moda. Ci sono grandissime aspettative da parte dei consumatori, affamati di informazioni chiare e corrette per orientarsi verso articoli prodotti in modo più responsabile. Da qui la grande necessità di fare chiarezza su materiali e metodi di produzione. Chiarezza che, forse, non tutti vogliono.

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