La seconda edizione dello studio IFM (Institut Français de la Mode) – Première Vision sulla sostenibilità del fashion system rivela che qualcosa sta migliorando. Maggior chiarezza alla vendita, più attenzione all’acquisto. Ma la strada è ancora lunga. Anzi: lunghissima
Per 8 italiani su 10, un prodotto moda può essere definito sostenibile solo se è completamente made in Italy. E, quando lo acquista, il cliente presta maggiore attenzione ai materiali con cui è realizzato. Perché questi ultimi, insieme alla qualità della lavorazione, ne determinano la durabilità, caratteristica fondamentale per la sostenibilità. Sono alcune delle indicazioni emerse dalla nuova edizione dello studio compiuto da IFM (Institut Français de la Mode) – Première Vision che ha intervistato 5.000 persone tra Francia, Regno Unito, Germania, Italia e Stati Uniti. Lo studio è stato pubblicato per la prima volta nel 2019 ed è stato diffuso nuovamente quest’anno, rivelando che “l’immagine della moda sta decisamente migliorando”.
L’immagine della moda sta migliorando
“L’immagine della moda sta decisamente migliorando. Gli sforzi compiuti dai brand, soprattutto in termini di informazione e trasparenza, si stanno notando” è il commento di Gildas Minvielle, direttore dell’Osservatorio Economico di IFM. La seconda edizione dello studio è utile soprattutto per osservare come si è evoluto il consumatore e i cambiamenti in atto nella società. Il più importante è il fatto che gli articoli definiti eco-responsabili sono ritenuti compatibili con le tendenze e l’eleganza. Infatti, nei cinque Paesi esaminati, 9 persone su 10 considerano i prodotti sostenibili come di moda. Un altro cambiamento riguarda l’informazione.
C’è più informazione
I consumatori del 2022 sono meglio informati rispetto a quelli del 2019. I canali di informazione preferiti sono l’etichetta del capo e le informazioni ottenute nel punto vendita, all’atto dell’acquisto. Il sito web, i media o i social network del marchio vengono considerati meno affidabili. Ma questa sete di informazioni, chiare e affidabili, deve ancora essere veramente saziata. Lo chiedono i consumatori, “scottati” dal greenwashing, che ora esigono chiarezza e affidabilità su come sono realizzati i prodotti che stanno per acquistare. Difficile, quando, come oggi, ci sono oltre 400 etichette che si definiscono eco-responsabili e, con il loro numero, alimentano una significativa confusione tra i consumatori.
Si spende di più per il green
Altra evoluzione rispetto al 2019: il budget di spesa per acquistare prodotti eco responsabili è cresciuto. Inoltre, nel 2022, il 46,5% degli europei e il 50,4% degli americani ha dichiarato di aver acquistato articoli “sostenibili”. Le virgolette sono d’obbligo. Perché, ad oggi, è rischioso definire un prodotto come completamente sostenibile. Però alcune caratteristiche green sono certe e chiare. Primo: la durata. Secondo: lo studio, quindi, ci dice che il consumatore sta prestando sempre più attenzione ai materiali con cui viene realizzato un prodotto e alla sua qualità. Un parametro in cui la pelle è campione. In Francia, il 37,7% degli intervistati cita i materiali come primo parametro di eco-responsabilità. Terzo: la riparabilità così da farlo durare più a lungo se si dovesse rompere.
Nel 2023, ben l’82,4% degli intervistati italiani ha dichiarato di aver riparato almeno un capo. Inoltre, i consumatori ritengono che la sostenibilità del prodotto dipenda da dove è stato realizzato. In Italia lo pensa il 79% degli italiani. In Germania quasi 7 tedeschi su 10 ritengono che un capo made in Europe offra anche garanzie di responsabilità ambientale. Un concetto che negli USA è meno diffuso. perché sono un Paese con una bassa produzione di moda. Ma negli States si è diffuso più che altrove il concetto di second hand. Oltre una persona su due ha acquistato abiti di seconda mano nel 2022, in particolare alla ricerca di prezzi più convenienti. Senza domandarsi, però, (come abbiamo fatto qui), se la rivendita è davvero una pratica che porta benefici all’ambiente. (Massimiliano Viti)
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