L’area grigia del lusso in Cina e le due parole che la definiscono 

Le due parole sono daigou e peihuo. A Pechino sono ben note, ma spesso sussurrate a mezza voce. Ma tutti le conoscono perché definiscono pratiche ritenute poco corrette, ma tollerate, come vi raccontiamo in questo articolo 

 

Daigou e peihuo non sono parole cinesi qualsiasi. Sono vocaboli che fanno parte, in un modo fastidioso e infastidito, del dizionario cinese del fashion system, ma anche di altri prodotti. Per esempio, riguardano anche il latte in polvere. Ma termini ben conosciuti a livello internazionale. Hanno un significato totalmente diverso l’uno dall’altro ma, alla fine, non sono pochi i casi in cui finiscono per intersecare le loro dinamiche. Per esempio, succede quando il consumatore vede il suo acquisto sbarrato dal peihou e si rivolge al daigou. Così, alla fine, queste due parole hanno in comune il fatto di identificare un’area grigia del commercio dei beni di lusso.

L’area grigia del lusso in Cina: il peihuo 

La traduzione letterale più vicina a quel che significa (davvero) peihuo è “prodotti di accompagnamento” o “acquisto abbinato“. Ma se facciamo ricorso alla fonetica inglese arriveremo più vicini al suo significato reale perché la pronuncia è molto simile a quella di “paywall” e funziona più o meno allo stesso modo. Ovvero: è la pratica, non scritta e nemmeno confermata, di alcune aziende del lusso di imporre ai clienti l’acquisto di una serie di prodotti complementari e propedeutici per poi poter accedere al livello successivo. In altre parole: quello di poter comprare il prodotto desiderato e di maggior valore.

Per esempio: se io voglio acquistare una borsa di Hermès, il venditore della maison mi suggerisce che sarebbe meglio acquistare prima altri prodotti del marchio per formare un curriculum grazie al quale potrò mettermi in fila per la borsa. Al di fuori della Cina il rapporto di spesa è 1 a 1. Cioè se la borsa costa 20.000 euro dovrò acquistare altri prodotti e spendere 20.000 euro.

Ma la scrittrice di Shanghai Ashley Lin afferma che in Cina il rapporto è superiore e può arrivare anche al doppio. Tradotto: a Pechino, dovrei spendere 40.000 euro in abbigliamento, braccialetti, scarpe ed altro prima di poter mettere le mani sulla borsa. Hermès, marchio capofila di questa pratica che oggi trova nuovi seguaci come Rolex, Chanel e Celine, non ha mai confermato l’esistenza di un peihuo. Afferma solamente che la vendita della borsa è a discrezione del team della boutique. Questa pratica “segretissima” (tutti i canali social cinesi del lusso, però, ne parlano), soprattutto quando diventa troppo esosa per le tasche del cliente, sta suscitando indignazione e proteste. Ed ecco che entra in campo il daigou. Perché se tu ritieni che sottostare al peihuo sia una pratica scorretta o troppo costosa, hai due possibilità: o ti rivolgi al second hand o al daigou.

Il daigou 

Il termine mandarino, che si traduce come “acquista per conto di“, è usato per descrivere gli acquirenti cinesi (ma anche sudcoreani) che comprano prodotti ricercati all’estero e li rivendono a casa a scopo di lucro, schivando tasse e imposte.

Più sinteticamente: è un acquisto che una persona cinese commissiona a un’altra che vive all’estero dietro il pagamento di un sovrapprezzo giustificato dal superamento delle difficoltà di acquisto. In inglese il daigou viene chiamato anche “surrogate shopper” mentre la pratica è il “proxy shopping”. Un canale non autorizzato, ma nemmeno così combattuto dalla politica e dalle griffe. Un solo pericolo: il daigou può essere il veicolo per la distribuzione di prodotti fake. I daigou sono nati perché il prezzo di un prodotto di moda di lusso all’estero era molto più basso rispetto a quello indicato in una boutique cinese.

Prima erano singole persone, ora sono vere e proprie organizzazioni che fino alla pandemia hanno beneficiato dello sviluppo delle vendite online. I ricavi dell’industria del daigou ammontano a 40 miliardi di dollari nel 2019, secondo una stima della società di consulenza Proresearch di Pechino. Ma ora che la Cina ha interrotto i viaggi internazionali, cercando di tenere a bada il virus, il fatturato dei daigou si è fermato. Ma è facile prevedere una nuova crescita non appena riprenderanno, anche dietro le crescenti richieste dei consumatori del lusso appartenenti alla Gen Z. Il ruolo del daigou è destinato, così, a evolversi e si avvicinerà sempre di più a quello del personal shopper. Dovrà aggiornarsi continuamente perché i giovani cinesi non cercano solo le griffe più famose, quanto capi e pezzi interessanti, convenienti anche se non hanno una griffe famosa sull’etichetta.

Leggi anche:

 

 

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER