Luxury e-tailer col fiato corto: così cadono gli dèi digitali

Per un’infinita serie di ragioni, gli e-tailer multimarca del lusso sono entrati in una profonda crisi non solo finanziaria. È la loro identità, per molti, è essersi trasfigurata al punto che alcune tra le più note esperienze del settore paiono arrivate al capolinea. Quale sarà, dunque, il futuro della moda online?

 

Nati poco dopo l’inizio del 21° secolo, i luxury e-tailer hanno cambiato per sempre il modo di fare shopping. Con pochi clic offrono la possibilità di acquistare un prodotto scelto dopo aver accuratamente visionato la vastissima gamma di articoli a disposizione. Hanno alzato il livello del servizio e hanno aiutato i marchi della moda, dai più grandi ai più piccoli, a entrare in mercati nuovi e lontani. In pratica hanno creato un canale distributivo che prima non esisteva. Ma dopo l’incredibile accelerazione avuta negli anni della pandemia, a causa dei lockdown, ora i grandi player multimarca delle vendite digitali di moda hanno il fiatone. Perché?

La fatica dei luxury e-tailer

L’ascesa di Shopify e delle vendite sui social media. Le strategie dei marchi che vogliono controllare la propria distribuzione online e il potere del rivenditore multimarca che si è ridotto. Se, però, analizziamo più attentamente ci sono anche altri motivi che hanno provocato “la caduta degli dèi digitali”. Per esempio, la rinascita dei negozi fisici, che offrono esperienze coinvolgenti e servizi di personal shopping o l’alto costo dei resi. C’è anche un errore strategico. Nel tentativo di competere, i marketplace sono diventati sempre più grandi, ma sempre più simili ad Amazon in termini di dimensioni e ambizione. Troppo simili.

Vantaggi che non ci sono più

Secondo gli analisti di Bernstein, i player dell’e-commerce stanno perdendo il loro vantaggio in termini di prezzo rispetto ai brand stessi poiché l’inventario proviene sempre più dai marchi. Quindi, non più dai clienti all’ingrosso, più disponibili a finanziare le promozioni. “Generare una rapida crescita del GMV (Gross Merchandise Volume) e andare in attivo è una quadratura del cerchio molto difficile da ottenere, dato che molti consumatori si rivolgono ai marketplace solamente per trovare le occasioni” scrive Bernstein.

Non ci soddisfa più

Un altro fattore di crisi lo rileva la ricerca True-Luxury Global Consumer Insight di BCG – Boston Consulting Group. In pratica, il canale online non soddisfa più gli high spender. Meno della metà dei clienti di fascia alta (46%) non è soddisfatta dell’esperienza di shopping digitale e questo vale sia per le piattaforme puramente digitali che per le vetrine digitali delle griffe.

Il caso Farfetch

Lo scorso dicembre il mercato dell’online è cambiato per sempre. È scoppiato il caso Farfetch. Fondata nel 2007 da José Neves, e lanciata nel 2008, la piattaforma e-commerce ha venduto prodotti per un valore di circa 3,5 miliardi di dollari nel 2022. Il problema è che, dopo 15 anni di attività, l’azienda non ha ancora realizzato profitti. I tre i pilastri del business di Farfetch stanno vacillando. Primo: il suo mercato fatica a crescere e fa ancora affidamento su sconti e promozioni per attirare nuovi clienti e generare traffico. Secondo: la sua attività di fornitura di prodotti tecnologici e logistici per marchi e rivenditori manca di slancio. Terzo: i marchi che gestisce, tra cui Off-White e Palm Angels del New Guards Group, stanno perdendo quote di mercato poiché lo streetwear di lusso non va più di moda.

Gli analisti ritengono che Farfetch sia diventata un’azienda troppo grande, troppo difficile da gestire, poco snella e con troppa burocrazia. Fatto sta che, da quando è stata quotata (dal settembre 2018, valutata 6,3 miliardi di dollari), l’azienda ha perso oltre il 90% del proprio valore. Il suo ciclo finanziario era diventato talmente insostenibile da non trovare, in modo emblematico, alcun salvatore. Poi, sono arrivati i coreani di Coupang, ma il fatto che nessuno si sia fatto avanti prima la dice lunga sull’attuale scarso appeal di questo business agli occhi del mercato.

Gli altri casi

Altri marketplace non stanno attraversando il loro periodo migliore. MatchesFashion è alle prese con perdite crescenti, mentre Ssense ha licenziato circa il 7% del suo organico all’inizio di quest’anno. Mytheresa rimane uno dei pochi operatori che ha costantemente realizzato profitti, ma la crescita sta rallentando e il prezzo delle sue azioni è sceso di quasi il 70% da inizio anno. YNAP vale circa 1 miliardo o poco più, cioè circa un quinto dell’investimento iniziale fatto da Richemont nel 2018 per 2,7 miliardi di euro valutando l’e-commerce 5,3 miliardi di euro.

La fine della strada?

Jonathan Siboni, CEO di Luxurynsight, ritiene che l’era dei rivenditori online multimarca di lusso stia giungendo al termine. Crede che il loro ruolo sul mercato potrebbe essere occupato da altri big player del settore digitale. Per esempio: eBay, Tmall e JD.com che già generano un traffico elevato e che potrebbero fare spazio al lusso sui loro siti. “Ora è il periodo dei negozi monomarca, ma non scarterei mai il ruolo dei multimarca. Penso ancora che siano preziosi in termini di cura, convenienza e fiducia. Però bisogna capire quale ruolo svolgono”, afferma Sojin Lee, fondatrice di Toshi, una società digitale business-to-business.

Il futuro

“In passato l’e-commerce era spesso convenienza e facilità d’uso, ma il futuro sarà diverso. Bisognerà investire nella personalizzazione, in un’esperienza digitale più sofisticata e ispirata, in storytelling e rilevanza locale” afferma Riccardo Vola, general manager Italia e Spagna di Zalando, al 28° Pambianco-PwC Fashion Summit. Vola individua tre direttrici che riassumono l’approccio dell’e-tailer al futuro: ispirazione, personalizzazione e localizzazione. Senza dimenticare l’impatto che sta avendo – a avrà sempre di più – l’intelligenza artificiale. Il futuro, in questo senso, è oggi.

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