Il senso di Jonathan per la pelle e per una diversa materialità

Jonathan Anderson, stilista di Loewe (LVMH) e del brand omonimo, classe 1984 rappresenta un caso esemplare di stilista che accetta il presente, ma lo rilegge alla luce di un assoluto e iperattivo rispetto per l’artigianalità, la pelle e la volontà di valorizzare i materiali veri, non virtuali. Ecco la sua storia e il suo pensiero

 

Jonathan Anderson, il paladino dell’artigianato. Potrebbe essere il titolo di un film o di un romanzo capace di raccontare uno dei talenti più fulgidi dell’attuale panorama fashion. Talmente brillante che, per gli addetti ai lavori, sarebbe la scelta ideale e meno rischiosa per sostituire Virgil Abloh come direttore creativo del menswear di Louis Vuitton. Perché? Semplice. La sua passione per l’artigianato e gli accessori sono pregi sostanziali per il ruolo che potrebbe ricoprire.

Creare una diversa materialità

Jonathan Anderson, classe 1984, è uno che ci sa fare. Non solo per la dialettica composta, il sussurrato accento irlandese, gli occhi blu penetranti e lo stile rilassato da felpa, jeans e sneaker. Ci sa fare, soprattutto, per il suo estro creativo e il suo pensare iperattivo. Chi ha seguito l’ultima fashion week milanese non può dimenticare l’erba (vera) fatta crescere su cappotti, felpe, pantaloni e sneaker indossati dai modelli nella sfilata del brand che guida: Loewe. Una provocazione? Fino a un certo punto, visto che, dice Anderson, “sono tutti alla ricerca di come fare qualcosa nel Metaverso. Sarebbe forse più interessante lavorare su come creare una diversa materialità”.

La premessa da fare è che Anderson (che sviluppa anche il suo brand omonimo, oltre che lo stile di Loewe, non è mai stato un fan del digitale, se vogliamo usare un’espressione politically correct. “Non sono spaventato dalla tecnologia, sia chiaro. Ho anche realizzato un NFT a scopi benefici. Il punto è che la moda appartiene a quella sfera del sapere e del sentire rappresentato dallo stesso patrimonio emotivo che ha permesso all’arte di rimanere costantemente moderna. Mentre la tecnologia, col passare del tempo, diventa obbligatoriamente obsoleta”. E qui Jonathan assesta il primo colpo. E sferra subito il secondo: “Gli NFT non rappresentano altro che speculazioni finanziare di blockchain, investimenti in bitcoin o in ethereu. Attenzione: con questo non sostengo che fare soldi non sia un’arte, anzi. Però non è moda, tutto qui. Non sono idee. Sono speculazioni economiche. Certo, la tecnologia sta correndo molto più velocemente della moda, ma questo non deve andare a discapito di un prodotto che, per essere realizzato bene da bravi artigiani richiede tempo”.

Il Cantico dell’Artigianato

Jonathan Anderson potrebbe scrivere il Cantico dell’Artigianato, come fosse un moderno San Francesco d’Assisi. Non a caso, quando nel 2013 è stato ingaggiato da LVMH, la sua missione era quella di trasformare l’azienda spagnola di pelletteria Loewe in un sinonimo di artigianato globale nell’era digitale. “Quello che a volte dimentichiamo – sostiene il designer nordirlandese – è che una borsa industriale è fondamentalmente fatta da persone. E per quanto la nostra società sia cresciuta, è impossibile per noi fabbricare una borsa completamente da zero, senza alcun contatto umano”.

Un miracolo quotidiano

Gli artigiani sono gli artefici di un miracolo che ripetono ogni giorno: rendere concreta un’idea. Dare forma a un disegno. Per esempio, Anderson racconta che a volte sono loro a suggerirgli cosa deve fare. Certo, “perché sanno come si deve lavorare un materiale come il cuoio” spiega. “La loro abilità è stata trasmessa di generazione in generazione”. Non a caso, quindi, “assumere persone per fare le borse è molto complicato perché è qualcosa che richiede anni di pratica”.

Quattro citazioni per capire Jonathan Anderson

La prima. “La lezione più importante della pandemia è che dobbiamo pensare in modo ancora più globale di prima, che siamo più connessi di quello che credevamo. E che la moda deve essere per tutti”.

La seconda. “Le pause forzate sono state incredibilmente stimolanti. Ho esplorato il mondo stando a casa, leggendo libri d’arte e guardando serie tv”.

La terza. “Qual è la mia quotidiana fonte di ispirazione? I miei genitori”.

La quarta. “Il lusso deve cambiare approccio. Non si può presentare un’idea di “unicità” e “artigianato” se si tratta solo di un prodotto in serie”. (mv)

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