La moda non va più al cinema: la moda adesso fa il cinema

L’amore tra moda, lusso e celluloide è sempre stato fatale, ma ora è entrato in una nuova dimensione. La moda adesso fa il cinema. Perché gli stilisti e i brand per i quali creano stanno cambiando la narrazione della propria identità attraverso una rinnovata ed evoluta dimensione cinematografica che non ha più niente (o quasi) a che vedere con i vecchi fashion film

 

Il rapporto tra moda e cinema sta cambiando: sta diventando sempre più aperto, più ampio. Il più recente scatto in avanti, in questo senso, lo ha compiuto Saint Laurent. Dietro la spinta del suo direttore artistico Anthony Vaccarello, la maison francese ha fondato una società di produzione cinematografica, la Saint Laurent Productions. L’etichetta ha debuttato al Festival di Cannes 2023 presentando due cortometraggi: “Strange way of life” di Pedro Almodóvar e “Drôles de guerres” di Jean-Luc Godard, opera a cui il regista stava lavorando prima della sua scomparsa, avvenuta lo scorso settembre all’età di 92 anni. Saint Laurent è diventato così il primo brand del lusso a integrare la produzione cinematografica tra le sue attività. Il marchio ha rivelato di essere al lavoro su una serie di lungometraggi con registi del calibro di David Cronenberg e Paolo Sorrentino. “Voglio lavorare con tutti i grandi talenti cinematografici che mi hanno ispirato nel corso degli anni e dare loro spazio. Questi registi non mancano mai di aprirmi la mente e, in un certo senso, la visione singolare e radicale che portano al cinema mi ha reso la persona che sono oggi”, spiega Vaccarello. (fonte Ansa)

La moda adesso fa il cinema

I direttori creativi non sono più solo semplici trait d’union tra moda e cinema. Stanno cambiando la narrazione della moda attraverso il cinema. Il fashion film, infatti, è una modalità ormai passata di moda, se vogliamo restare in tema. I designer, insieme ai registi, sono andati oltre. D’altronde, se ci pensiamo, nel loro lavoro, stilisti e registi sono chiamati ad esprimere la propria visione della vita. Ma quando un abito si trasforma in costume e diventa mezzo narrativo? D’altronde non è un mezzo espressivo di ognuno di noi quando lo prendiamo dal guardaroba e lo indossiamo? E come si trasforma in uno strumento cinematografico?

Atmosfere dense di emozioni

“I film mi ispirano sempre. Li ho usati come sfondi visivi nelle mie sfilate, perché creano un’incredibile atmosfera densa di emozioni”, ha detto una volta Alexander McQueen, designer molto legato al cinema. Ma lo stilista che incarna di più l’essere un creativo sia di moda e sia cinematografico è Tom Ford. L’artefice del primo rilancio di Gucci ha venduto il suo brand e lasciato il mondo fashion per dedicarsi al cinema. Oggi mancano i dettagli sul film che scriverà, ma Ford ha confermato che sarà una commedia dark. Ford ha ammesso che dirigere “A Single Man” e “Nocturnal Animals” è stata “l’esperienza più divertente della mia vita. Sentivo di aver detto tutto quello che potevo dire con la moda, mentre non sento di aver detto tutto quello che potevo con il cinema”.

La versione di Michele

Un altro creativo che ha modificato, elevandolo, il ruolo narrativo del cinema nella moda è stato Alessandro Michele di Gucci. Nel novembre 2020, insieme al cineasta Gus Van Sant, ha proposto al GucciFest la miniserieOuverture of something that never ended”, composta da 7 episodi, con la quale ha presentato la nuova collezione. “I vestiti, liberati dai luoghi della moda, si sono impastati al quotidiano. Il cinema, imitazione della vita, ha fatto in modo che vivessero: sono tornati indietro da dove vengono, dalla vita” è stata la riflessione offerta da Michele.

Balenciaga e Dior

Venendo all’attualità, per presentare la sua ultima collezione (Estate 2024), Balenciaga ha deciso di creare un video che ricorda vagamente la scena del marciapiede de “I 400 Colpi” di François Truffaut. Un cinema-verità che diventa mezzo per “applicare i codici della maison agli schemi della vita quotidiana” come segnala la stessa griffe. Dior, invece, è protagonista di due film: “Haute Couture” di Sylvie Ohayon del 2021 e “Mrs. Harris Goes to Paris” di Anthony Fabian del 2022. NSS Magazine si chiede se questa “invisibile strategia” della griffe riferita al cinema sia un “capolavoro di soft marketing o una casualità”. Entrambi i film sono ambientati nell’atelier di Avenue Montaigne, raccontano da vicino la creazione di abiti haute couture e, indirettamente, costituiscono un elogio al marchio e alla sua artigianalità. Ma i due film non appaiono come operazioni di marketing, visto che sono due opere che si reggono bene da sole. Piuttosto possono essere un test per verificare le modalità in cui uno storico brand di moda possa raccontarsi esplicitamente senza intaccare la propria credibilità.

L’esempio inverso

Se Saint Laurent da griffe del lusso è diventata anche una casa di produzione cinematografica, c’è anche l’esempio inverso. A24 è un’etichetta cinematografia fondata nel 2012 e diventata negli anni un marchio cult. Oltre ai film propone anche merchandising costituito da cimeli e soprattutto abbigliamento. Le case cinematografiche, quelle più piccole in particolare, hanno bisogno di trovare nuove fonti per alimentare gli incassi: la moda fornisce loro un ottimo assist.

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