Se non sapete niente degli NFT, forse è già tardi per scoprirlo

Si chiamano Non Fungible Token. In altre parole: NFT. Sono quanto di più virtuale e immateriale possiate immaginare. Roba da collezionisti nerd. Ma collezionisti molto, molto ricchi. Talmente ricchi che la moda e il lusso, in questo mondo “di nuova generazione” ci si stanno tuffando in massa. Ecco come e perché 

33,77 secondi possono essere un intervallo di tempo nel quale far accadere moltissime cose. E osservarne altrettante. Può succedere, per esempio, che su una piattaforma digitale chiamata The Dematerialized, in questo lasso quasi impalpabile di tempo siano letteralmente andati a ruba 77 NFT di Karl Lagerfeld, al costo di 177 euro ciascuno. Niente di strano, direte voi. Ci sono influencer in Cina che hanno sbancato il web con una rapidità simile vendendo modelli esclusivi di Chanel, Tod’s e tanti altri brand. Ecco, dimenticatevi di queste borse (e di qualsiasi altro accessorio fashion), perché gli NFT di cui stiamo parlando sono quanto di più virtuale e immateriale possiate immaginare.
La sigla NFT, infatti, è l’acronimo di Non Fungible Token. In altre parole: l’ultima frontiera digitale (anche) del lusso e della moda. Una frontiera milionaria che, nel momento stesso in cui la scopri e la capisci, ti rendi conto che, probabilmente, è già tardi per tentare di agganciarne l’onda.

Già, ma cosa sono i Non Fungible Token?

Tecnicamente, sono file con estensione JPEG (quella delle foto digitali) crittografati e protetti da blockchain. In questo modo il file è assolutamente unico e non riproducibile. Per cui, in virtù di questa sua unicità, possiede un valore di mercato anche (e non solo) sotto il profilo collezionistico. “I marchi di moda stanno appena iniziando a capire gli NFT”, osserva a Fashion United Richard Hobbs, fondatore della piattaforma specializzata bnv.me. Hobbs suggerisce alle griffe di sbrigarsi, perché “l’onda è arrivata: è questo il momento di surfare gli NFT”. Così, c’è chi compra creazioni digitali per rivenderle e guadagnare. C’è chi pensa che una griffe potrebbe riprodurre un momento memorabile della passerella e metterlo in vendita. Sembrano follie, ma solo per chi non è un nativo digitale. Non a caso, questo particolare tipo di mercato, per quanto riguarda la sneaker, è già esploso, dimostrando quanto sia reale il valore dei virtuali NFT.

Il valore reale dei virtuali NFT

Lo scorso giugno, una collaborazione tra lo studio di design RTFKT e Fewocious (artista digitale diciottenne di Seattle) ha portato alla vendita, in 7 minuti, degli NFT di 621 paia di sneaker per un valore totale di 3,1 milioni di dollari. Niente da dire, non fosse che non possono essere né toccate e né tanto meno calzate. RTFKT, uno dei player fashion più noti in questo ambito immateriale, per sviluppare questo modello di business ha assunto due modellisti di Clarks. Hanno il compito di realizzare campioni reali dei suoi modelli virtuali. “Le sneaker erano il veicolo di base da cui iniziare”, spiega a The Wall Street Journal Benoit Pagotto, uno dei tre fondatori di RTFKT. Il quale fa notare come oggi anche gli adolescenti sappiano che è possibile guadagnare rivendendo sneaker e quanto questo concetto sia applicabile anche al mondo digitale.

 

 

Il caso esemplare di D&G

Per capire quanto gli NFT rappresentino per la moda la chiave di accesso a una nuova dimensione di marketing e business, basta raccontare il caso esemplare di Dolce & Gabbana. La griffe ha incassato, a fine settembre, 5,7 milioni di dollari dalla sua prima asta di oggetti da collezione NFT. Alcuni li ha acquistati Flamingo DAO, organizzazione che mira a riunire i membri interessati a supportare il crescente ecosistema della moda digitale. In altre parole: la cryptofashion. La proposta di D&G comprendeva 9 oggetti digitali della Collezione Genesi: 2 abiti femminili, un completo maschile, 3 giacche e 3 corone. Alcuni di essi erano abbinati a benefit “fisici”. Per esempio: un capo, un gioiello o la possibilità di assistere di persona a uno show della griffe. Il risultato, dato il valore generato, è stato a dir poco esplosivo (o, per certi versi, inquietante).

La beneficienza di Jimmy Choo

Agli NFT è approdato anche Jimmy Choo con un’asta di 6 giorni (starting point: 20 ottobre). Si tratta di un progetto benefico (il ricavato andrà a Women for Women International) sviluppato con la piattaforma specializzata Ucollex e battezzato Jimmy Choo/Eric Haze curated by Poggy. In altre parole, la versione digitale della sneaker griffata Jimmy Choo e nata della collaborazione tra il creativo giapponese Poggy e l’artista newyorchese Eric Haze. Il miglior offerente si aggiudicherà la creazione virtuale, e riceverà anche un paio di sneaker dipinte a mano in edizione limitata. Ma non finisce qui, visto che l’asta prevede un’altra serie di NFT che, in modo “incrementale”, danno accesso alla possibilità di accaparrarsi, come in un gioco di ruolo, oggetti virtuali di crescente rarità. Tutto molto complesso (in apparenza) e immateriale. Tutto molto ricco.

Dubbi e divieti

Sul mondo degli NFT, però, già si addensano nubi. “L’attività di riciclaggio di denaro sporco che si può fare con le cryptovalute si può fare anche con gli NFT” spiega il portale ilovetrading.it. Tra l’altro, le cryptovalute sono finite nel mirino delle autorità finanziarie in Cina, che le ha vietate come potrebbe accadere presto anche in Russia. Il che sta generando il timore che anche il loro sviluppo possa essere frenato.

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